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lunedì 24 dicembre 2012

Buon Natale



Vi auguro sogni a non finire e la voglia furiosa di realizzarne qualcuno. 
Vi auguro di amare ciò che si deve amare e di dimenticare ciò che si deve dimenticare; vi auguro passioni, vi auguro silenzi, vi auguro il canto degli uccelli al risveglio e risate di bambini. 
Vi auguro di resistere all'affondamento, all'indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.


Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.

Buon Natale

Claudio

mercoledì 5 dicembre 2012

Consigli di lettura: Furari. Sulle orme del vento


“Mi chiedo se non sia finalmente arrivato il momento in cui è necessario fermarsi per osservare bene ciò che ci circonda. Camminare è il movimento più importante per l’essere umano. Siamo liberi di decidere il ritmo dei nostri passi, e di percepire tutto ciò che vediamo nella sua più intima verità.” Jiro Taniguchi

Oggi segnalo questo bellissimo volume pubblicato dalla Rizzoli Lizard a Settembre: Furari. Sulle orme del vento, di Jiro Taniguchi. Dell’autore giapponese ho già parlato molto, ma questa nuova opera merita un’approfondita analisi.

Ispirandosi alla figura del topografo Tadataka Inou, vissuto tra il XVIII e XIX secolo, primo cartografo a mappare il Giappone con tecniche di misurazione moderne, Taniguchi dà vita a un manga di rara poeticità, che riflette appieno quello spirito prettamente nipponico di comunione ed empatia con il mondo circostante.

Al centro della trama vi è un uomo con la sua specifica individualità (un po’ come i protagonisti presenti in L’uomo che cammina e Gourmet). Un uomo di scienza, apparentemente inappropriato ad essere il protagonista di una storia il cui titolo fa riferimento all’espressione giapponese “vagare senza meta”, “in balia del vento”, un’attività romantica e discordante a quella scientifica. Eppure ci troviamo di fronte ad un personaggio che, proprio in virtù della sua unicità di essere umano, sfugge ad ogni misera classificazione e fa del suo continuo contare e misurare la strada sotto i suoi piedi un’inattesa attitudine a perdersi nella natura e a guardare ciò che lo circonda con gli occhi delle creature più varie. Attento e curioso, questo uomo passa le sue giornate camminando, e, attraverso i suoi incontri, viaggia in luoghi naturali e dell’anima con invidiabile e straordinaria disinvoltura, scoprendo nuovi sentimenti e un rinnovato stimolo per la sua immaginazione e il suo desiderio di conoscenza, in un inno sussurrato alla Natura e all’essere umano.

Le tavole, dettagliate ma di ampio respiro, raccontano con poche vignette un intero universo, fatto di elementi concreti, piccoli gesti e piccole realtà che risuonano di sensazioni ed emozioni. Ne esce un composito dialogo tra umano e naturale, tra immaginazione e realtà, tra razionalità e spiritualità, che prende forma nello stupore del quotidiano e nella relazione con gli altri, che va a valorizzare il singolo e la comunità (significati a questo proposito sono i continui riferimenti agli haiku).

Furari – Sulle orme del vento è un’opera intensa, in grado di comunicare con il lettore, trasportandolo in giro per le strade di Edo, e facendogli riscoprire un entusiasmo per la vita e la semplicità dello sguardo. Con una attenzione ed un’empatia degna di un antropologo, Taniguchi ci fa scoprire ed apprezzare un mondo lontano, diverso, a tratti sconosciuto, ma cosi simile nelle relazioni e negli affetti.

mercoledì 14 novembre 2012

Consigli di lettura: Fumetto e animazione in Medio Oriente



Lo so, non aggiorno il blog da una vita e me ne scuso con chi segue quotidianamente i miei post. Purtroppo, impegni di diversa natura mi hanno privato sia del tempo che, soprattutto, della serenità per scrivere. Non prometto un aggiornamento costante, ma cercherò di impegnarmi al massimo per conservare questo piccolo spazio di condivisione di idee, spunti e riflessioni.

Tornando al tema del titolo, oggi voglio segnalare il bel saggio di Serenella di Marco: Fumetto e animazione in Medio Oriente. Persepolis, Valzer con Bashir e gli altri: nuovi immaginari grafici dal Maghreb all’Iran, edito nel 2011 dalla casa editrice Tunué per la Collana Lapilli (collana diretta da Marco Pellitteri).

Un interessante saggio in cui  artisti e opere raccontano il Medio Oriente. Al riparo dalla censura, vengono presentate le creazioni e le opere degli illustratori, registi, fumettisti di questa terra che ha sempre affascinato l'Occidente. I grandi successi di Marjane Satrapi, Ari Folman e gli altri grandi autori, fra giornalismo e narrativa, fumetto e animazione, denunciano e ci fanno conoscere un'intera civiltà che, oggi, è protagonista di enormi rivoluzioni.
Con Fumetto e animazione in Medio Oriente, Serenella di Marco traccia una ricognizione storico-sociale della contemporaneità del Vicino e Medio Oriente attraverso gli artisti e le opere che ne raccontano i nuovi immaginari. La Primavera araba, con i suoi moti rivoluzionari contro sanguinarie dittature e iniquità sociali, ha fatto emergere una grande varietà di talenti artistici che raccontano i sogni delle nuove generazioni, storie disegnate dei molti autori e autrici coraggiosi che hanno sfidato la censura e le sue punizioni pubblicando materiali spesso assai scomodi per i regimi.

Ho molto apprezzato il lavoro di ricerca condotto dall’autrice nel tracciare un profilo storico e sociologico dell’arte e della comunicazione visiva nel Medio Oriente. Forse l’unica pecca è rappresentata dal poco spazio dedicato ad alcune realtà geografiche come l’Algeria e il Libano, vere fucine di talenti, e che avrebbero sicuramente meritato un trattazione a parte.  
Nonostante ciò, apprezzo l’impegno e lo studio condotto dalla Di Marco nel trattare un tema che in Italia e tutt’ora poco esplorato: il fumetto come strumento di testimonianza, veicolo di idee e centro interculturale per la comunicazione tra i popoli. Assieme ad altre forme e linguaggi espressivi come il cinema d’animazione e la performance visiva, il fumetto si presenta al lettore con un atteggiamento chiaro: diversi nomi, per diverse realtà e diversi contesti, ma un unico grande obiettivo, la libertà di espressione, la libertà di essere sé stessi.

sabato 27 ottobre 2012

Consigli di lettura: Destinazione Freetown


"Il fumetto è uno strumento estremamente utile per raccontare la realtà africana. Apre su un immaginario poco conosciuto attraverso una dimensione in cui il linguaggio, i segni, le parole diventano universali, in cui le barriere tra conosciuto e sconosciuto riescono a disciogliersi in un unità che il fumetto riesce magicamente a trasmettere." (Raul Pantaleo)

In “Destinazione Freetown“, nuovo graphic novel della casa editrice Becco Giallo, Khalid è il protagonista immaginario di un viaggio di ritorno al proprio Paese, la Sierra Leone. Coautori dell’opera sono Raul Pantaleo, architetto che ha partecipato alla costruzione di diversi ospedali d’eccellenza per Emergency, e l’illustratrice Marta Gerardi, entrambi membri del progetto collettivo Tamassociati.

È un opera delicata, capace di coniugare fiaba, poesia, humor e anche un determinante realismo. Se l’Italia rappresenta la sconfitta dell’antico sogno di Khalid, seguendo il suo percorso a ritroso esploriamo una terra affamata di futuro. Lo sfondo del viaggio di Khalid sono infatti gli ospedali di Emergency realizzati in Sudan, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone, che abbiamo modo di esplorare nel corso del suo tragitto. Una testimonianza diretta, profonda e ironica di ciò che gli autori hanno visto della guerra, della miseria, della solidarietà, della tristezza e dell’immensa gioia del continente africano. Di un’Africa che è qui ora, immersa nel flusso della modernità, e ha fame di futuro. 

lunedì 15 ottobre 2012

Focus su: Little Nemo in Slumberland


“Siamo sicuri che, in fin dei conti, non abbia detto di più su questo sciocco secolo, il '900, Mc Cay con Little Nemo in Slumberland che Freud con L'interpretazione dei sogni?” Oreste del Buono

La nascita del fumetto viene tradizionalmente fatta coincidere nel 1896, con l'apparizione del personaggio di Yellow Kid.  L'importanza di questo personaggio deriva principalmente dalla notorietà che lo stesso ha avuto, contribuendo allo sviluppo della narrazione a fumetti. Sicuramente è agli inizi del 900 che il fumetto prende slancio e vigore con la pubblicazione di numerosi personaggi e serie, più o meno popolari, più o meno innovativi. Eppure, nel 1905 fa la sua apparizione un fumetto destinato ad avere una notorietà sconfinata, un’opera continuamente ristampata in edizioni sempre più complete e curate. Un gioiello della nona arte considerato, da molti, il più bel fumetto di tutti i tempi.

Stiamo parlando di Little Nemo in Slumberland, fumetto onirico che, grazie al talento ed alla visionarietà del suo autore, Winsor McCay, è riuscito ad attraversare indenne il secolo di vita senza perdere nulla del suo fascino. Anzi, è riuscito e riesce a fornire nuovi spunti, idee ed insegnamenti a tanti artisti moderni (non solo in campo fumettistico).

La trama di base è abbastanza semplice: Nemo è un bambino di 6-7 anni che ogni notte vive delle fantastiche avventure, puntualmente concluse quando Nemo, nell’ultima vignetta, si sveglia. Lo scopo dei sogni di Nemo è quello di incontrate la Principessa di Slumberland, in cerca di un compagno per i suoi giochi, che attraverso gli ordini di suo padre Re Morfeo, invia mostri e ambasciatori per condurlo alla corte del regno di Slumberland. Nemo riuscirà ad entrarvi solo il 4 marzo 1906, ma per incontrare il suo primo nemico, un personaggio con il sigaro in bocca di nome Flip Flap, invidioso di Nemo perché vorrebbe essere lui ad incontrare la Principessa, e per questo cerca di evitarne  l'incontro (col tempo Nemo diventerà amico di Flip). Incontro con la Principessa che avrà luogo l'8 luglio 1906; a seguire entrerà nella serie un nuovo personaggio con l'aspetto di un indigeno di colore: Imps, che insieme a Nemo e Flip costituirà il nucleo centrale di personaggi su cui si svilupperanno le storie. I sogni di Nemo sono spesso collegati ad un preciso evento riguardante un determinato periodo: come il Natale, la Pasqua, o la fine dell'anno  che coincidono con il periodo in cui escono le tavole.

La cosa che colpisce subito nelle tavole di Little Nemo è la cura dei dettagli, la ricchezza dei particolari di ogni tavola ed i magnifici colori con cui si presentano. È incredibile il lavoro che McCay portava a termine ogni settimana, considerando che non si dedicava solo a questa serie,  e svolgeva molte altre attività. Ma le innovazioni del fumetto sono così tante che influenzeranno altri artisti per decenni. L’autore statunitense rompe infatti con la tradizionale struttura rigida delle tavole, componendo le stesse nella più completa libertà espressiva, e lavorando sulla struttura e composizione di tavole e vignette in maniera funzionale a ciò che sta narrando, all'effetto che vuole ottenere, alle sensazioni che vuole provocare. Il fumetto assume così un dinamismo cinematografico.

Passando invece all’analisi critica: i livelli di lettura del fumetto sono vari ed esiste una notevole bibliografia al riguardo. Ci si può soffermare sugli aspetti onirici e anche  psicanalitici delle storie (non dimentichiamo che del 1900 è la prima edizione de “L'interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud) ma c'è chi ha osservato anche gli aspetti sociali delle stesse. Per alcuni, Slumberland può rappresentare il sogno americano, ed i personaggi che ne fanno parte possono rappresentare le principali categorie di individui presenti nell'America di inizio secolo: borghesia (Little Nemo), proletariato (Flip Flap) e comunità afroamericana (Imps). Altri vedono nel piccolo Nemo l'artista o l'intellettuale.

A questo proposito, abbiamo due esempi molto significativi. Il 29 marzo 1908 Little Nemo visiterà in sogno la poverissima cittadina di Shanty Town, popolata da povera gente vestita di stracci che abita in case fatiscenti. Con una bacchetta magica riuscirà a vestire con sfarzo le persone, riparare ed ammodernare le case, guarire i malati, assimilandosi ad una sorta di Messia capace di portare aiuto a poveri e bisognosi (ma la madre lo sveglierà ricordandogli che è il 1° aprile). L’altro episodio molto significativo si verifica a partire dal 24 aprile 1910 quando il piccolo protagonista ed i suoi amici Flip e Imps giungono in visita su Marte. Questo pianeta è abitato da un terribile capitalista che possiede tutto e si fa pagare per tutto, dall'aria alla luce, perfino per le parole. Ne consegue che i poveri oltre ad essere vessati devono stare in silenzio. McCay non è certo un proletario, ma la critica ad un certo tipo di capitalismo non potrebbe essere più marcata.

Indubbiamente, grazie alle sue  innovazioni e alla sua fantasia, Little Nemo conduce ancora oggi il lettore alla scoperta del più cruciale tema della modernità: la scoperta di noi stessi.

venerdì 5 ottobre 2012

Consigli di lettura: Alain e i rom



Proseguono i consigli di lettura, alle prese con l’analisi delle migliori storie disegnate degli ultimi tempi. Con “Alain e i rom” ci troviamo di fronte ad un opera molto particolare, che gestisce tutto  il suo impianto narrativo sulla comunicazione visiva grazie all’alternanza tra fotografia e vignetta (formula sperimentata dall’opera di Guibert “Il fotografo”).

Edita da Coconino press, impreziosita dalla prefazione di don Luigi Ciotti e dalla postfazione di Giusy D’Alconzo, l’opera di Guibert, Keller e Lemercier tratta gli oltre dieci anni di viaggio del fotoreporter Alain Keller  tra i campi rom di mezza Europa. Dal Kosovo alla Serbia, dal sud della Francia alla Repubblica Ceca, fino al ghetto a cielo aperto di Lamezia Terme, in Calabria. Dovunque ha fotografato i volti, scattato immagini della vita in roulottes e villaggi di baracche, raccolto le storie e le testimonianze dei nomadi, documentando le loro difficili condizioni di vita, la povertà, la minaccia delle espulsioni e il quotidiano confronto con i muri dell’ostilità e dei pregiudizi, gli stessi in ogni luogo. Ma anche narrando con le immagini la cultura di un popolo, i mestieri, le feste e la musica. Mostrando la fatica e la gioia di vivere, principale intento del fotografo.

“Alain e i rom” è quindi un eccezionale reportage giornalistico e grafico sul popolo Rom, in cui fotografia e fumetto dialogano e si mescolano, accostati con notevole senso del ritmo e del racconto. Esso è il diario di un viaggio alla scoperta di un popolo migrante che vive tra noi. Un invito a guardare per conoscere una cultura “altra”, e superare paure e preconcetti. Un invito, inoltre, a ribaltare il punto di osservazione: a scoprire i conflitti del presente e la storia d’Europa vista con gli occhi dei Rom, “dai finestrini senza vetri di un caravan senza ruote”. Un documento importante, che rivela la grande dimensione e personalità delle bande dessinée francesi nella loro continua evoluzione come strumento interattivo di informazione, denuncia e testimonianza.

martedì 2 ottobre 2012

Consigli di lettura: Cronache di Gerusalemme



Ho riportato dettagliatamente le definizioni di fumettista, fumettistico e fumetto tratte dal Devoto Oli, vocabolario della lingua italiana, edizione 1986, per riflettere sui pregiudizi che girano attorno al mondo dei Balloons. Il problema forse sta proprio nel termine fumetto: non mi è mai piaciuto, forse perché troppo restrittivo e banale per indicare un linguaggio ricco di codici e simboli, capace di creare un interessante via di comunicazione e di essere un ottimo strumento di informazione e indagine.

Certo, le cose sono cambiate dal 1986, ora c’è una più attenta analisi delle “storie disegnate”, e molti sono gli studiosi che si impegnano ad esplorare questo mezzo; però vedo ancora spesso un certo tono di sufficienza quando si parla di romanzi grafici, chiaro segno di un modo di vedere queste opere come puri prodotti d’intrattenimento, per rilassarsi e non pensare alle problematiche quotidiane, certi di trovarci di fronte ad un linguaggio poco impegnativo. Queste convinzioni derivano da un’ignoranza diffusa, intesa non come stupidità ma come non conoscenza del linguaggio e di certe sue opere sublimi, capaci di creare uno spirito critico nel lettore e di comunicare quello che le sole parole non possono fare.



Guy Delisle è un autore canadese conosciuto per i suoi reportage fumettistici ( tra i quali segnalo il bellissimo albo dedicato al suo soggiorno a Pyongyang, capitale della Corea del Nord). Per seguire sua moglie, amministratrice presso Medici Senza Frontiere, Delisle ha vissuto un anno a Gerusalemme, e ha riassunto la sua esperienza nell’opera “Cronache di Gerusalemme”(edito in Italia da Rizzoli Lizard).

È un opera complessa, ricca di sfumature e di dettagli, in cui l’autore non si fa scrupolo di narrare tutte le esperienze che ha vissuto in Israele. Quello che ne viene fuori è un ritratto nudo e crudo: Delisle, infatti, non resta chiuso in casa, ma viaggia, esplora, commina e osserva. È soprattutto questo che fuoriesce dal resoconto del soggiorno: un uomo curioso di conoscere le vicende del paese in cui è ospite, di comprenderne le dinamiche e lo spirito che lo attraversa. Ciò che rimane impresso è l’immagine di un paese composto da confini, fisici, e soprattutto mentali. Troppe sono infatti le ideologie che impediscono una pacifica convivenza: un esempio è ben mostrato dal quotidiano lancio di pietre tra coloni e palestinesi, dal pericolo di muoversi con l’auto nei quartieri ultraortodossi durante il giorno dello Shabbat e dai numerosissimi checkpoint disseminati nel territorio. In tutto questo emergono le tensioni feroci e millenarie, la speranza, la rabbia e la frustrazione dei palestinesi, in lotta contro l’occupazione e devastato dall’atrocità dell’attacco tristemente noto come “Operazione piombo fuso”, di cui l’autore è spettatore inerme. Ad egli non resta che sedersi, ascoltare, indagare, osservare e rappresentare quello che gli si palesa davanti ai suoi occhi.

Premiato come miglior opera al Festival di Angouleme 2012, Il lavoro di Delisle presenta una realtà problematica con gli occhi di chi cerca di afferrare un senso: quella che può essere scambiata per vigliaccheria, per non presa di posizione, è solamente il punto di vista di un individuo immerso in una realtà per lui totalmente estranea; non gli interessa dire chi ha sbagliato e chi ha ragione, descrivere gli errori e gli orrori degli israeliani o dei palestinesi. Quello che vuole cogliere è il lato quotidiano, condizionato da grandi questioni, eppure fatto di piccoli, significativi momenti narrati con maestria.

sabato 29 settembre 2012

Consigli di lettura: Diverso come Uguale



"Questo è un libro curioso. Non ha paura di chi è diverso da noi: anzi, lo cerca e insieme ci gioca".

Questo è il messaggio che "Diverso come uguale", libro illustrato e firmato da Luana Vergari e Massimo 
Semerano per Becco Giallo, rivolge ai bambini.

L’opera in questione offre nuovi stimoli di dibattito per genitori e insegnanti sul tema della diversità: fisica, culturale, razziale, sessuale. Personalmente, ritengo questo libro una piccola gemma, da far circolare negli ambienti scolastici ed educativi.

Protagonista del libro è Leone, un bambino di sei anni, che presenta al lettore i suoi amici: bambini che gli somigliano, anche se un po’ diversi da lui, ma non per questo meno in gamba: c’è Francesco, il bambino down coraggioso in acqua che insegna a Leone a nuotare; Erica, la ragazzina epilettica che non ha paura del buio; Tony che dopo il divorzio dei genitori si ritrova a vivere con due papà e che così "può fare il doppio delle cose"; il profugo Ali Rezad, che Leone aiuta a fare i compiti perché "così ci rimane il tempo per giocare".

Nelle pagine del libro, la Vergari e Semerano presentano e affrontano in maniera spregiudicata, diretta e pragmatica numerose situazioni difficili che possono presentarsi. Quello che viene a galla è un approccio vicino al punto di vista dell’occhio del bambino, privo della retorica, dei pregiudizi e dei pudori dei grandi. Le diversità non vengono negate o nascoste; esse non sono oggetto di pietà né di timore. Infatti,  anche se "diverso", un bambino è un bambino, e quello che lo definisce umanamente agli occhi di un suo coetaneo sarà solo il modo in cui si gioca insieme, affrontare le paure comuni, condividere le passioni.

Il tratto grafico di Semerano aiuta molto a penetrare nei ritratti e nei pensieri di Leone, grazie ad ambienti evocativi, personaggi grotteschi ed espressivi e un giusto mix di elementi reali e fantastici.

 “Diverso come Uguale” è un libro per guardare le cose e il mondo da angolazioni diverse, promuovere la conoscenza della propria identità, dell'alterità, della reciprocità e diversità. Tematiche che (speriamo) influenzeranno i protagonisti e fautori del futuro. Un futuro migliore.

martedì 18 settembre 2012

I fumetti approdano alla Columbia University



Riporto questa meravigliosa news pubblicata sull’Ansa:  la gloriosa Colombia University di New York aprirà le sale della sua biblioteca anche ai fumetti.

Un passo notevole, fatta da un’istituzione di indubbio prestigio che con questo gesto sottolinea  l’importanza del fumetto come linguaggio popolare e artistico, meritevole di essere discusso e analizzato in ambito accademico nei settori filosofici, sociologici, linguistici, semiotici e artistici. In barba a chi afferma, fiero e sciocco, “io leggo ben altre libri”.

La prima collana storica che inaugurerà gli scafali della sezione “Comics and Graphic Novels”  sarà quella degli “X-men”. Non posso che esprimere la mia gioia per questo traguardo raggiunto dal mondo delle nuvolette. 

giovedì 13 settembre 2012

Consigli di lettura: Unabomber



Chiedo perdono per non aver aggiornato il blog nelle ultime due settimane; purtroppo gli impegni accademici mi hanno un po’ distolto dagli interessi che coltivo. Per questo oggi torno con un consiglio di lettura dedicato strettamente al fumetto come linguaggio divulgativo e mezzo d’informazione: l’opera in questione è “Unabomber” , edito da Becco Giallo.

Ho già parlato delle edizioni Becco Giallo di Treviso e delle sue collane di fumetto dedicate alla cronaca e alla storia recente. Scritto da Igor Mavric e disegnato da Paolo Cossi , “Unabomber” è la dimostrazione di come un fumetto possa diventare importante ai fini della conoscenza sociale e della prevenzione.

Il volume riassume gli oltre 10 anni di attività del misterioso attentatore che agisce tra il Veneto e il Friuli seminando oggetti esplosivi. Il primo ordigno esplode nell'agosto del '94: si tratta di un tubo di metallo in cui la carica esplosiva si innesca svitandone il tappo. In seguito ci saranno altri tubi esplosivi, ma anche uova, pennarelli, tubetti di conserva di pomodoro, un barattolo di Nutella. Con il moltiplicarsi dei casi si fa strada l'ipotesi che dietro gli attentati non vi siano gruppi eversivi di stampo anarchico, ma un'unica persona. I giornali locali sono i primi ad accreditare la tesi del serial killer e lo battezzano Unabomber, lo stesso nome che l'FBI diede a Theodor John Kaczynski ,che in America seminò ordigni esplosivi per 18 anni. Dopo anni di indagini gli investigatori non hanno ricavato molto. L'ultima volta Unabomber ha colpito nel marzo 2005, in provincia di Treviso, manomettendo una candela elettrica all'interno del duomo. Le indagini non hanno aggiunto elementi per identificarlo.

Ho accennato alla conoscenza e alla prevenzione, e le obbiezioni possono essere molte: perché dedicare un opera a fumetti a un criminale che ha seminato tanto panico e terrore? Sono gli stessi dubbi che si pone il disegnatore Paolo Cossi, e che espone nella prefazione del volume.

Indubbiamente, riflettendo per bene,  forse un libro a fumetti può diventare un mezzo utile per informare e mettere in guardia i cittadini, soprattutto i più giovani. Le illustrazioni sono volutamente istintive, grezze, in bianco e nero, per far si che esse non vengano dimenticate, che si stampino nella memoria, che fungano da campanello d’allarme non appena notiamo qualcosa di strano. Informazione e comunicazione usate come prevenzione, grazie al libro, che di solito resta conservato nel tempo, rispetto ai messaggi dei giornali e della televisione  che invece svaniscono in fretta a causa del dinamismo della nostra  società.
Fondamentale diventa tenere vivo il problema ancora irrisolto, poiché il silenzio, nonostante sia la via più comoda, può diventare colpevole complice. Il peggio può essere evitato solo se si conosce, se si parla, se si legge. È in questo caso anche un albo a fumetti può diventare un mezzo di importanza sociale.

mercoledì 29 agosto 2012

Appunti di vista: Zeman - Un marziano a Roma



Per chiunque ami il calcio, Zeman è sicuramente un personaggio emblematico per questo sport. Figura carismatica, a tratti cinematografica, il boemo è l'unico personaggio del mondo del calcio in grado di ispirare romanzi, film, documentari. Zeman è una filosofia di vita.

Giuseppe Sansonna, regista del documentario Zemalandia, ritorna nelle librerie con un racconto/diario/intervista dal ritiro di Brunico. Un ritratto dettagliato, in grado di dare giustizia alla complessa figura di quest’uomo silenzioso, di altri tempi, che tanto ha affascinato il regista di origine pugliese.

L’allenatore è diventato infatti - grazie al suo gioco moderno, alla rivincita dell’estetica contro l’obbligo dei risultati, allo stakanovismo negli allenamenti, ai giovani contro i campioni, all’intransigenza tattica - un recipiente che negli anni ha raccolto di tutto, un miscuglio di persone e sentimenti: il nichilismo di chi sa che non riuscirà a vincere contro i grandi poteri del calcio, la frenesia del tifoso esagerato che vuole tutti all’attacco pensando di sbancare, l’impegno dei radical chic appassionati alle sue battaglie anti-Palazzo e contro la Juventus.
È come se Zeman allenasse tutte le squadre del mondo contro il calcio cialtrone e corrotto, e non una squadra per volta. Per il pubblico dello sport-entertainment, cresciuto con le pay-tv, il ritorno di Zeman promette spettacolo.

Infatti, se la rivoluzione tattica di Luis Enrique è durata solo un anno, il nuovo allenatore della Roma Zdenek Zeman appare ancora di più nell’immaginario romanista come l’unico ad avere diritto alle stimmate del condottiero. Non importa che nel 1998 sia stato cacciato per far posto a Capello, più simpatico al Palazzo, come disse il presidente Franco Sensi: “Il nuovo mister ha la personalità vincente e riceve più rispetto da parte del Palazzo, noi crediamo molto nei benefici determinati dal suo avvento”. Né che Zeman abbia girato da allora l’Italia e l’Europa senza gloria, incassando insuccessi ed esoneri prima di arrivare a Pescara e vincere il campionato cadetto. I dubbi racchiusi nell’avventura zemaniana fanno parte dello stesso entusiasmo verso il boemo, e non intaccano l’attesa del campionato. Zeman è stato accolto come fosse la sua prima volta nella capitale: torna a essere un idolo oggi, proprio quando ci sarebbe bisogno di tornare a vincere, ma di soldi ne girano pochi. Il nuovo mito del boemo è rinato con l’esilio dal calcio che conta, da sconfitto sul campo e logorato dalle vicende processuali, diventato, suo malgrado, l’antidoto ad un calcio industriale legato al denaro.

Il personaggio, la cui unica garanzia è sempre stata la fedeltà a se stesso, ha deciso di rimettersi in gioco grazie alla scommessa vinta a Pescara: scegliendo per affetto una piazza esigente da cui era stato cacciato e cogliendo l’ultima possibilità di giocare in Italia ad alti livelli. E comunque andrà, non può che rimanere l’ammirazione e la stima di un allenatore capace di mettere da parte gli sponsor, il denaro e l’entertainment in nome dei valori di lealtà e amicizia che ha animato da sempre questo bellissimo sport.

L’ultimo libro di Sansonna affascinerà qualunque appassionato di calcio per la sua descrizione nitida e cruda di un uomo sempre coerente con sé stesso.
Buona fortuna, Zedenek

G. Sansonna, Zeman. Un marziano a Roma, Minimum Fax, Roma, 2012.

giovedì 23 agosto 2012

Appunti di vista: Nero di Puglia



La bellezza di parlare e discutere con i propri cari è quella di attingere a informazioni e idee a te ignare. In questi discorsi sono venuto a conoscenza di un libro di un autore pugliese, edito da Feltrinelli nel 1980: “Nero di Puglia “, di  Antonio Campobasso.

Un nome che ad una prima occhiata può non dir nulla, ma che invece porta su di sé una storia di emarginazione, solitudine e ingiustizia: la storia di un “figlio della guerra”.

Nato il 2 giugno 1946, lo stesso giorno della proclamazione della  Repubblica Italiana, Antonio è figlio di un soldato statunitense rientrato in patria alla fine del conflitto,  e di una ragazza madre, una donna che, lasciata sola, non ha avuto la forza di crescere suo figlio in un meridione che non accetta i nati “bastardi”, figuriamoci se di colore. Ciò la porta ad abbandonare il suo bambino per trasferirsi nel Regno Unito con un inglese.
Rimasto solo e accudito dalla nonna nel paese di Triggiano, il giovane Campobasso comprenderà ben presto cosa vuol dire crescere soli in un ambiente in cui il pregiudizio e l’ignoranza la fanno da padroni, trascinandolo in una spirale senza fine che lo condurrà dall’Orfanotrofio di Giovinazzo al riformatorio di Bari, fino al carcere di Poggioreale.

Difficile dare una definizione di quest'opera, certamente singolare rispetto al panorama letterario contemporaneo: non è un romanzo, e nemmeno una autobiografia. Quello che l’autore mette in mostra è una prosa - interrotta a tratti per cercare il ritmo dei versi -  densa di rabbia, tristezza e malinconia. È un grido di denuncia, di un’infanzia e di un’adolescenza rubate, della ricerca di affetto e amore (rappresentata dall’autore dai continui riferimenti alla madre) in cui Antonio non reprime la sua indignazione, lasciandola intatta nello scorrere dei versi, ricchi di imprecazioni e bestemmie. Ma è proprio in questo modo che l’autore mantiene la potenza suggestiva e lirica delle parole, e la poesia diviene un espediente per restituire la rabbiosa volontà di denuncia dell’autore:

“Gloria alla vecchia,
che più di cristo merita altari,
più di ogni dio insignificante
vuole che le si paghino
inni saltati e cantati
come in una foresta africana.
E' giusta, è grande,
ha patito ora per ora
in una storia che non è quella dei grandi.
I suoi stracci sono vestiti di luce,
il suo volto
mette fuori fulgori,
costringe i serafini del tempio
a coprirsi gli occhi,
copre di vergogna i santi di dio.
I tozzi di pane lemosinati
sono più sublimi di ogni assurda eucarestia.
Il negro, il bastardo,
lo ha fatto creatura
con il calore del suo corpo.
E' in mezzo ai cori degli ordini angelici,
se mai sono al di là dei cieli di pietra.”

Un’opera meravigliosa nella sua testimonianza, in cui Campobasso delinea le sue emozioni imprimendole su carta, quasi seguendo un immaginario spartito.
Dopo la conclusione delle sue disavventure, Antonio Campobasso si è ripreso la sua vita; ha studiato alla scuola di arti sceniche ed è stato assistente alla regia. Vive a Roma, e il suo ultimo lavoro è il film “Il mercante di stoffe”, di Antonio Baiocco.

Non so se Antonio leggerà questa breve elogio alla sua opera; tutto ciò che vorrei esprimere è solo la mia gratitudine per questa testimonianza verso la Puglia e la società italiana, e il rammarico da parte nostra per averlo condotto a pagare colpe di cui non ha mai avuto responsabilità.

martedì 21 agosto 2012

Sergio Toppi 1932-2012



Sergio Toppi resterà per sempre uno dei più importanti fumettisti e illustratori di sempre. Ci ha lasciato oggi 21 agosto 2012, un anno che ha privato l'arte sequenziale di alcuni tra i suoi maggiori protagonisti.
Il suo è stato un percorso creativo vasto, che lo ha visto imporsi nelle più importanti realtà italiane e internazionali; ed è per questo che voglio ricordarlo con queste bellissime parole scritte dal grande Oreste del Buono, in ricordo e memoria di un dei più grandi innovatori italiani della nona arte:

“Dalle sue tavole così incise e così bulinate, dalla ricchezza traboccante delle sue storie misteriose e tragiche ci viene costantemente il conforto che può esistere un uomo così responsabile, così pronto a rispettare il suo impegno. Come una religione. Il suo lavoro tende alla perfezione, per semplice senso del dovere. Il dovere di essere sempre più bravo, il dovere di continuare ad imparare, perché non si finisce mai di d'imparare a questo mondo, specie per chi si è assunto l'incarico di creare immagini, di mettere la propria fantasia e le proprie risorse al servizio degli altri."

Ciao Sergio....

sabato 18 agosto 2012

Consigli di lettura: Buddha



Spesso, nel campo fumettistico, ci si concentra molto sulle opere moderne e contemporanee, come l’attuale graphic novel, il fumetto storico, le opere underground e di graphic Journalism. Ciò è di fondamentale importanza per lo studio e l’analisi del linguaggio fumetto. Il rischio è però quello di dimenticare opere e autori che hanno fatto la storia della nona arte.
Prendiamo ad esempio Osamu Tezuka: conosciuto universalmente come “il Disney giapponese”(anche se la sua produzione e creatività era addirittura superiore a quello del caro Walt) e come “Il Dio dei manga”, l’autore nipponico ha scritto e disegnato oltre 700 storie per una stima di circa 170.000 tavole prodotte.
Egli affermava: “Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti.” Proprio per questo le sue opere sono conosciute e lette in tutto il mondo, e tra i suoi lavori più noti vorrei soffermarmi su un incredibile opera di stampo artistico e storico: “Buddha”, un’opera composta da 14 volumi (edita in Italia da Hazard edizioni).

A tutti è nota la vita di Siddhartha Gautama: quando era nato, i suoi genitori erano stati rassicurati da un indovino che il bambino era destinato a grandi cose, sarebbe diventato il grande conquistatore dell’umanità oppure il suo redentore. Preferendo di gran lunga il primo destino, il padre fece crescere il principino in una residenza reale e piena d’affetto, isolato da tutto ciò che era sgradevole e brutto. La sua era una vita di lusso e gioia, coronata dal matrimonio con una bellissima principessa e dalla nascita di un figlio. Ma un giorno, mentre passeggiava, il principe vide un vecchio infermo sulla strada. Fu stupito e addolorato da quella vista, il suo primo incontro con la sofferenza umana. Il giorno seguente vide un uomo morente, e il successivo un cadavere. Improvvisamente, il principe si rese conto della realtà della sofferenza, dell’invecchiamento, della malattia e della morte. Ora capiva che tutta la sua vita era costruita su una bugia, sulla negazione del dolore come parte dell’esistenza. Siddhartha cercò allora sollievo nella religione e si fece monaco. Nonostante ciò, divenne molto presto insoddisfatto del messaggio standardizzato dei suoi compagni asceti, che accettavano con compiacenza i mali della vita come parte dell’ordine naturale delle cose. Secondo Siddhartha, il dolore è vero e potente, ma non possiamo esserne compiacenti. E solo cancellando l’egoismo dai nostri cuori che possiamo trascendere i ceppi costringenti della nostra esistenza . Mentre sviluppava una filosofia con radici profonde per superare il dolore e l’egoismo, il principe attirò molti studenti intorno a sé. Siddhartha affermò: “Quando ero giovane vivevo la vita come se dormissi, ma ora mi sono svegliato”. Divenne quindi conosciuto come “il Risvegliato” o “l’Illuminato”, ovvero, il Buddha.
Nel raccontare il viaggio spirituale del Budda, Tezuka voleva presentare anche una visione panoramica dell’antica società Indiana. Infatti, attorno alle vicende del Budda sono intrecciate le vite di una moltitudine di personaggi per rappresentare i diversi percorsi che la vita offre : Tatta, un “intoccabile” che dichiara guerra all’ordine sociale; Chapra, uno schiavo che si schiera con l’elite dominante; Migaila, una bellissima ragazza che si innamora del Buddha; e il generale Budai, un ottuso soldato con sogni di conquista. Nel cercare la propria strada nel mondo, Buddha deve superare le tentazioni presentate da questi sentieri alternativi: la sete di vendetta, il successo sociale, la bellezza fisica e la vittoria sul campo di conquista.
Lo splendore visivo del lavoro di Tezuka è in primo piano. Con veloci, abili tratti, evoca le meraviglie dell’India, sia naturali che artificiali. I suoi studi scientifici fuoriescono in molte delineazioni sottili dei paesaggi e della natura.
Ma quelli che amano la religione solenne e dai toni alti saranno sconsolati dal Buddha di Tezuka. Perfino in questa serie, infatti, l’autore mantiene la sua posizione di fumetto come intrattenimento popolare: il suo lavoro brulica di un’esuberanza cartoonistica da capogiro, ci sono molte battute anacronistiche e i personaggi minori spesso sembrano dei cartoons.
Però, in questa sua esuberanza antica, Tezuka è fedele allo spirito del pensiero buddista. La sua è una ricerca storica e filosofica di notevole valore: ciò che l’autore rappresenta è davvero ripreso alla lettera dalla storia e dai miti che circondano il Buddha. Indubbiamente, la serie di Tezuka offre un ampio bagaglio di conoscenze e strumenti per chiunque affronti per la prima volta i temi legati alla conoscenza delle religioni e della cultura orientale nel suo insieme.  


Quelli che sono ostili al buddhismo molto spesso lo accusano di essere una religione di rinunce, che nega la vita; alcuni cristiani dalle ristrette vedute usano addirittura la parola “nichilista” per descrivere il pensiero del Buddha. Niente è più lontano dal vero. Mentre cercava di trascendere il dolore della vita, Budda rimaneva molto vivo sulla superficie dei piaceri del mondo. Le immagini del Buddha che ride sono la vera faccia di questo saggio.

Noi tutti viviamo in un mondo dove la religione sembra spesso nemica dell’illuminazione, perfino un nemico della semplice gentilezza e morale. Ma nella nostra situazione disperata, è giusto ricordare che la religione non deve necessariamente essere maligna. Come rappresentato dalla vita del Budda, la religione è un balsamo che può curare le ferite più profonde della nostra anima.
È questo il più importante messaggio che l’autore nipponico dona al lettore: la vita di un principe filosofo che scopre la verità dell’esistenza nella compassione e nell’unione con il creato.   

lunedì 13 agosto 2012

So long, Joe


"I was, and still am, the luckiest person in the world"
Joe Kubert, 1926-2012


Ieri sera si è spento Joe Kubert, eccezionale artista statunitense. Considerato il migliore disegnatore di fumetti di guerra di sempre, era capace di passare dalle atmosfere selvagge di Tarzan ai cieli di Hawkman senza alcun problema. Un maestro verso il quale tutti gli attuali disegnatori hanno un chiaro debito.

Nato nel  1926 a Yzeran in Polonia, alla sola età di due mesi la sua famiglia si trasferisce a New York, nel quartiere di Brooklyn. Fin dalla giovinezza suo padre lo sostiene e ne incoraggia il talento. A questo proposito circola una leggenda, sul fatto che Joe abbia ricevuto il suo primo incarico professionale quando aveva solamente 10 anni.
Ovviamente non esistono conferme a questa storia; l’unica cosa certa è che Kubert entra giovanissimo nel mondo dell’editoria a fumetti, lavorando prima nello studio di Harry "A" Chesler, poi alla MLJ, conosciuta adesso come Archie Comics, dove brucia le tappe passando rapidamente dal ruolo di fattorino a quello di apprendista disegnatore.  Infine nel 1942, a 16 anni, inizia a disegnare con la propria firma alcuni fumetti della Holyoke.
L’anno seguente, nel 1943, porta a termine la prima di una lunga serie di collaborazioni con la DC Comics, disegnando e inchiostrando una storia dei Sette Soldati della Vittoria apparsa su Leading Comics 8. È grazie ai supereroi che Kubert si fa notare nel corso degli anni ’40, disegnando molte avventure di Hawkman.
Negli anni ’50 e ’60 Kubert diventa la star del fumetto di guerra, grazie al suo lavoro con lo scrittore Robert Kanigher su serie come Sgt. Rock e Enemy Ace. Nel 1967 viene nominato direttore delle pubblicazioni della DC, lavoro che comunque non gli proibisce di continuare a lavorare come artista. Infatti nel 1972 l’autore inizia a sceneggiare e disegnare uno dei suoi più celebri lavori, Tarzan, fumetto ispirato ai romanzi di Edgar Rice Burroughs.
Nel 1976, concluso il suo incarico alla DC, Kubert compie quella che ha sempre definito la sua miglior opera dopo i suoi 5 figli, fondando insieme alla moglie a Dover, nel New Jersey,  la Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art, una innovativa scuola di disegno in cui si diplomeranno poi anche i suoi due figli Andy e Adam.
Dopo un periodo di pausa, Joe torna al lavoro come sceneggiatore e disegnatore nel 1991, producendo per la Malibu Comics Abraham Stone: Country Mouse City Rat. Nel 1994 invece disegna la saga River of Blood per The Punisher: War Journal della Marvel. Prendendo ispirazione da una serie di fax inviati dall’amico e agente letterario Ervin Rustemagić nel corso dell’assedio serbo di Sarajevo, Kubert nel 1996 scrive e disegna Fax From Sarajevo.
Nel corso del nuovo millennio illustra i graphic novel Yossel: April 19, 1943 (2003) e Jew Gangster (2005), e tornando a disegnare Sgt. Rock in due miniserie, scritte rispettivamente da Brian Azarello e da lui stesso.
Particolarmente cari al pubblico italiano sono i suoi disegni del Texone del 2001, scritto da Claudio Nizzi e composto da ben 230 tavole tutte illustrate da Kubert.
L’ultimo lavoro su cui era all’opera era il prequel Before Watchmen: Nite Owl, miniserie disegnata in coppia con il figlio Andy.

A testimoniare il suo apporto determinate al mondo della nona arte restano soprattutto i suoi disegni, immortali monumenti alla sua grandezza.

venerdì 10 agosto 2012

Notte di stelle e desideri



“San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla... “ Giovanni Pascoli, X agosto.

Da secoli ci si incontra la sera del 10 agosto, un po’ per gioco, un po’ per scaramanzia, lontano dalle luci delle città per scrutare quello che Pascoli interpretò come il pianto del cielo. Se la scienza attribuisce il miracolo allo sciame meteorico delle Perseidi che, passando attraverso l'orbita terrestre, dà vita a uno spettacolo incredibile, la cultura popolare crede che siano le lacrime versate da San Lorenzo durante il suo supplizio. È nel giorno in cui il Santo morì che le gocce di dolore scendono sulla terra e regalano fortuna a chi le vede. La tradizione ha creato intorno a questa notte un’atmosfera ricca di speranza: si crede infatti che si possano avverare i desideri di tutti coloro che si soffermino a scrutare il cielo.

Possano le stelle questa notte illuminare il cielo e i nostri sogni più intimi. 
Buon San Lorenzo!  

giovedì 2 agosto 2012

Consigli di lettura: La strage di Bologna



2 agosto 1980: la sala d’attesa della stazione ferroviaria di Bologna viene distrutta dall’esplosione di una bomba: 85 persone perdono la vita e altre 200 restano gravemente ferite. Cause e mandanti non sono identificati.

La funzione e la preservazione della memoria nella società è di fondamentale importanza: memoria delle gesta, delle atrocità, degli orrori, che devono rimanere impresse nella mente della collettività affinché si possano porre correzioni e nuove soluzioni. E mai come in questi casi il fumetto, come linguaggio, può essere utile a manifestare interrogativi e testimonianze. L’educazione alle immagini è importantissima: mettendo da parte le inutili polemiche tra “fumetto popolare” e “fumetto underground”, il giusto equilibrio tra parole e immagini, narrazione e sequenza grafica, da vita ad opere di indubbio spessore artistico e letterario. Non sto qui ad elencarle ad una ad una, anche se meritano la giusta menzione “Maus” di A. Spiegelman, “Gen di Hiroshima” di K. Nakazawa  e i reportage di Joe Sacco.

A questo proposito, mi pregio di sottolineare l’encomiabile lavoro della casa editrice BeccoGiallo, che da anni progetta, realizza e pubblica fumetti d’inchiesta e di impegno civile.
Con l’opera “La strage di Bologna” di Alex Boschetti e Anna Ciammitti, pubblicata in occasione del 30° anniversario della strage, questa funzione sociale esplode in tutta la sua magnificenza, ciò grazie anche alla meticolosità del lavoro di ricerca di Boschetti (laureato in Storia contemporanea) e dal tratto scuro e forte della Ciammitti.

Parlare, scrivere, ricordare. Questo è quello che conta; non importa farlo una, due, cento volte: bisogna rendere l’arte testimone della realtà; forse, attraverso essa, riusciremo davvero a distogliere il velo che copre l’esistenza. Concludo con questo bel pezzo di Carlo Lucarelli, tratto dalla prefazione del volume:

“Mettere in fila i fatti provocando emozioni. Credo che altro, noi narratori non possiamo fare (…) che questo avvenga con le parole dei romanzi, con le immagini del cinema e della televisione (…) o con i disegni di un fumetto, non ha importanza, basta che sia efficace. Quando poi, come in questo caso, sta in una collana che ha avuto l’idea di utilizzare uno strumento di narrativa popolare come il fumetto per raccontare misteri della nostra storia recente, non è soltanto efficace. È geniale.”

lunedì 30 luglio 2012

Consigli di lettura: Yeti


"Yeti" è il primo romanzo a fumetti dell'artista barese Alessandro Tota, che si presenta al grande pubblico con un opera fiabesca, malinconica e tenera.
Le vicende ruotano attorno a Yeti, grosso essere rosa e tondeggiante, che scappa dalla sua valle alla ricerca di nuove esperienze e sogni da realizzare nella grande metropoli (Parigi). Qui, straniero e diverso, si troverà ad affrontare problemi quotidiani come i lavori precari e la difficile integrazione in una società composta da individui chiusi e da rassegnati compagni di sventura. Il tutto in compagnia di Caterina, Alessandro e Volker, un piccolo gruppo di giovani di belle speranze che, nell’attesa di un futuro migliore, trascorrono le giornate tra feste, innamoramenti, speranze e paure. 
Come sostenuto dallo stesso autore, normalmente il diverso appare ai nostri occhi come una minaccia, qualcosa di sconosciuto, forse pericoloso. Tota decide di capovolgere questo stereotipo attraverso l’uso di una figura tonda e luminosa come quella di Yeti; ma questa dolcezza non riuscirà ad essere un riparo contro il gelido e indisponente vento della realtà.
L’espediente grafico porta infatti a quest’amara conclusione: la diversità, bella o brutta che sia, è sempre la prima cosa che si nota, e, seppure a volte inconsciamente, crea delle distanze. "Yeti" è la storia di un personaggio tenero e inquieto, alla ricerca del suo posto in un mondo impaurito da ciò che non riesce a capire. Un racconto dolce e malinconico che punta il dito contro una società troppo isolata e concentrata su sé stessa per accorgersi dell’esistenza dell’Altro. 

martedì 24 luglio 2012

Consigli di lettura: Sonno elefante



Stasera prendo in analisi un bellissimo libro presente nel mio programma di “Semiotica della cultura”; l’opera in questione è “Sonno elefante”, di Giorgio Fratini, edito da Becco Giallo. L’autore ci porta nel Portogallo di inizio anni ’70, durante la dittatura del generale Salazar. Un argomento poco dibattuto non solo dal linguaggio fumetto, ma anche dagli altri media.
Centro narrante della storia sono lo studente di architettura Zè, sua madre Marisa, l’illustratore rivoluzionario Silas (alias Leon), la sua compagna Maria, ma soprattutto i muri della sede della PIDE, l’organo di polizia nato con lo scopo di sopprimere ogni tentativo di insurrezione al regime.
I muri non dimenticano: su questa affermazione Fratini costruisce una potente trama sospesa tra noir e realtà storica. Bisogna chiarire però che “Sonno Elefante”, pur trattando un certo periodo storico, ha un prologo e un epilogo ambientati ai giorni nostri: questo perché i luoghi invecchiano come le persone, e con essi malauguratamente la memoria di ciò che avviene al loro interno. Il parallelo proposto dall’autore tra la Lisbona di ieri e quella di oggi è interessante: in apertura vediamo un comune palazzo del centro in ristrutturazione, mentre un uomo anziano lo guarda da lontano con sguardo impenetrabile. Quest’uomo è Zè, che all’epoca dei fatti narrati è solo un ragazzo; l’edificio in Rua Antonio Maria Cardoso che oggi stanno ristrutturando, invece, era un posto in cui quarant’anni fa si spiava, si tradiva, si torturava, si moriva.
Fratini colpisce subito per la grande padronanza del mezzo fumetto, sia a livello narrativo che grafico. La scrittura immerge il lettore nella triste realtà di uno Stato in cui regna il terrore e riesce ad essere appassionante, dosando il ritmo della tavola con una severa scansione in vignette.
Grazie a ciò il succedersi delle vignette viene percepito come un martellante e ossessivo ticchettio; per esempio, nella scena della retata a casa di Marisa, in cui entrano in scena gli agenti della PIDE. Non c’è bisogno di mostrare percosse o atti di violenza fisica: la brutalità e la prepotenza dei modi del Capo Squadra Perquisizioni rappresenta tutta la ferocia di un sistema che può liberamente decidere cosa la gente deve fare, dire, pensare, e cosa no.
Sono presenti quindi delle atmosfere orwelliane, atmosfere noir, e notiamo anche una presenza del fantastico, presente nell’Intermezzo, dove è racchiusa la chiave per comprendere l’intera vicenda. L’Elefante, animale associato alla memoria, simboleggia gli occhi e le orecchie di ogni edificio esistente; ricoprire il sangue sulle pareti con dell’intonaco può servire a ingannare gli uomini, ma non i muri. Eppure anche i muri, abituati a vedere e sentire qualsiasi cosa accada nelle stanze che racchiudono, hanno un limite che, se superato, porta alla pazzia. La vignetta in cui l’Elefante Guardiano mutila le orecchie dell’Elefante Dormiente è quella che probabilmente racchiude l’essenza della storia: gli orrori scaturiti dalla mente umana possono essere insopportabili persino per i muri tra i quali vengono partoriti.
Il punto di vista dei muri, visti come degli elefanti condannati a ricordare, è un modo straordinariamente originale di rappresentare la malvagità umana (il volume non è stato inserito nel programma di semiotica per niente).
All’interno di “Sonno Elefante” c’è la storia di un uomo (Leon) reso folle dalla prigionia e isolato dai suoi ex-compagni per aver “cantato” sotto tortura; c’è la storia di una madre (Maria) disposta a tutto pur di riabbracciare il figlio di cui non ha più notizie dopo la cattura (Zè), e tante altre storie di vita quotidiana sotto un regime totalitario.
Soffermandoci sullo stile dei disegni, Fratini dimostra un ottima tecnica, sfoderando un segno che sintetizza sperimentazione e chiarezza, tramite il giusto equilibrio delle mezze tinte intervallate a sequenze in cui il contrasto tra bianchi e neri è netto, mentre il segno è nervoso e sporco. I volti spigolosi e scavati dei personaggi rendono bene l’idea di un popolo stanco e teso, apparentemente indifferente ma che in realtà nasconde le proprie emozioni dietro una maschera. La ricostruzione degli sfondi è accurata, ad esclusione dell’obliquità dei muri delle case: quest’ultima si potrebbe interpretare come un voler dar vita a quei muri.
Un’opera che racchiude in sé stessa tutte le qualità e la forza del mezzo fumetto, un linguaggio che contribuisce al perpetuare della memoria e della testimonianza attraverso il fecondo rapporto tra vignetta e lettore.

mercoledì 18 luglio 2012

Laterza pagina: Presentazione de "Il fumetto tra i banchi di scuola"- 25 Luglio 2012



Ho il piacere e l’onore di comunicare ai lettori del blog che, mercoledì 25 Luglio, presenterò il mio saggio “Il fumetto tra i banchi di scuola”. Una bella opportunità per cui devo ringraziare Leonardo Matera, amico e compagno di studi attualmente consigliere alle politiche giovanili e culturali di Laterza, che mi ha invitato a presentare il saggio.

L’evento è inserito all’interno della rassegna culturale “Laterza pagina”; la presentazione sarà a cura di Francesco Clemente e Vitantonio Fosco (che devo ringraziare per il tempo e la disponibilità che ha dato nell'organizzazione dell'evento), membri di “Società e Progresso”, associazione culturale presente a Laterza da oltre 15 anni, impegnata nell'organizzazione di eventi sociali, politici e culturali, oltre che editrice del periodico locale "Agorà - 'a chjazze".
Ospite d'eccezione della serata sarà il grande Alessio Fortunato, disegnatore, fumettista per la Sergio Bonelli Editore, impegnato nella serie Dampyr.

L’appuntamento è per le ore 21:00 al Palazzo Marchesale, in p.zza del Plebiscito a Laterza (TA). 
Vi aspetto per una serata ricca di stimoli, spunti e sorprese. 

lunedì 16 luglio 2012

Buon compleanno Quino!


Perfino la data della sua nascita è stata un pasticcio: Quino compie 80 anni il 17 luglio, però all’anagrafe di Mendoza è stato registrato il 17 agosto. Per non parlare del nome di battessimo: “Ho scoperto di chiamarmi Joaquìn alle elementari”. Questo perché in casa l’hanno sempre chiamato Quino per distinguerlo dallo zio. Così Joaquìn Salvador Lavado è rimasto per sempre Quino.

Con queste premesse, solo lui poteva essere il papà di Mafalda la contestataria, l’irrequieta, l’indignata: “Oggi sarei in prima fila tra loro” ha ammesso lo scorso ottobre a Luca Raffaelli, direttore artistico di Romics.

Con l’Italia l’autore argentino ha sempre avuto un rapporto speciale: “Mi sento più mediterraneo che argentino”. Quino infatti è arrivato a Milano nel 1976, quando il generale Jorge Rafael Videla ha preso il potere nel suo paese dando il via alla dittatura: “La patria significa gioventù; stare lontano da lei ha fatto sì che il mio umorismo sia diventato un po’ meno vivace, però a volte più profondo”. Le strisce di Mafalda lo consacreranno tra gli autori della nona arte più importanti di sempre : figlia della classe media, Mafalda abitava in calle Chile 371, nel quartiere di San Telmo a Buenos Aires.

Tanti auguri Quinito, e grazie per aver denunciato i mali di questa terra dando voce a una bambina contestataria, disillusa, ribelle, ma mai doma nella sua personale battaglia per creare un mondo migliore.
Oggi più che mai il suo messaggio non dev'essere dimenticato.

martedì 10 luglio 2012

Consigli di lettura: Neven. Una storia da Sarajevo



La narrazione per immagini detiene uno straordinario potere: quello di rendere testimonianza attraverso un tratto fluido e dettagliato che attiva nel lettore le emozioni e i sentimenti meglio celati nell’animo.
Joe Sacco è un maestro in questo; opere come “Palestina e “Gaza 1956” fanno ormai parte dell’immaginario narrativo contemporaneo, classificandosi come opere in grado di trattare eventi complessi e infidi. “Neven”, da questo punto di vista, non fa eccezione.

Siamo a Sarajevo, nel 2001. Dopo la fine del conflitto serbo-bosniaco, Sacco ritorna nella città. Stremata dalla brutalità e dalla follia del conflitto, la città è stranamente silenziosa, così l’autore decide di andare alla ricerca di una sua vecchia conoscenza di dubbia moralità: Neven.                                                                                 

Ma chi è Neven? Figlio di una musulmana e di un serbo, egli è un po’ di tutto: un eroe di guerra, un narratore, un pappone, un fanfarone, una guida turistica, uno scroccone. L’autore l’ha incontrato nel 1995 a Sarajevo, sul finire della guerra. Determinato ad acquisire quanto più denaro possibile dai suoi ricordi, Neven introduce Sacco in una intreccio di storie che hanno come protagonisti soldati, cecchini, bande di criminali legalizzate. Viene alla luce la cronaca dell’ascesa dei signori della guerra, paramilitari il cui fanatismo era stato utilizzato per difendere la Bosnia contro la pulizia etnica, ma finiti ben presto corrotti dal potere, dalla sete di sangue e dai deliri ideologici. È un'epopea atroce e grigia, animata da un universo ambiguo reso ancora più caotico dalla ferocia del conflitto
.
Grazie al tratto chiaro e alla sua passione per i dettagli, Sacco conferisce al racconto una precisione e una profondità molto più fruttuose di quanto un reportage è in grado di offrire. La capacità dell’autore è quello di saper sovrapporre immagini e scrittura, per creare ritratti indimenticabili e momenti di Humor nero.
Le sue tavole danno un volto umano ad azioni inumane, e pongono al lettore terribili quesiti morali sui fini e i mezzi, sull’intenso e tormentoso mistero dell’umanità in guerra. 

sabato 7 luglio 2012

Consigli di lettura: Junk love



Tra le ultime pubblicazioni del Coconino press spicca “Junk love” di Chaemin, autrice coreana che contribuisce a portare nella piena maturità il manhwa (fumetto coreano).

È il diario di un amore fragile e altalenate di due giovani in cerca di identità; entrambi affamati di cibo e di sesso. Sullo sfondo, una situazione di costante precarietà in cui tutto si consuma.
Ho-Gyeong e Min-Gyu si conoscono in chat, si incontrano, si piacciono, vivono insieme. Lei è una giovane modella che per guadagnarsi da vivere posa nuda per gli allievi di una scuola d’arte; lui è uno studente di giurisprudenza pigro, bello e sciupafemmine Ma è una storia d’amore senza troppa passione, composta di silenzi, infedeltà, ripensamenti. Solo il cibo e il sesso accendono scintille e riempiono per un attimo i loro vuoti: solo a letto oppure a tavola, al fast food tra una porzione di maiale in agrodolce e una fetta di pizza, lui e lei dimenticano per qualche istante le frustrazioni delle loro vite.

“Junk love” è la storia di una dipendenza: un amore in cui lui è parassita, lei è la vittima sfruttata. Ma quando lui parte, lei sente la sua mancanza. Una love story orientale, dolce e cinica, tra due giovani che soffrono la precarietà di un esistenza senza orizzonti, perenni naufraghi nell'oceano del consumo e dei desideri. Così il manhwa di Chaemin diventa il racconto del malessere di una generazione disorientata, per cui ogni piacere è effimero e l’amore rischia di essere un oggetto futile, da buttare via come un altro.
Attraverso l’esplorazione intima dei sentimenti dei due giovani, viene fuori un ritratto disincantato della moderna Corea del Sud. L’opera è narrata per flashback, alternando i punti di vista di lei e di lui. Disegnato con eleganza minimalista, in cui si segnalano la delicata malinconia ritratta sui visi dei due ragazzi, ogni capitolo si riferisce ai piatti take-away che i due amanti mangiano insieme nel tentativo di perdonarsi, ritrovare un equilibrio, far ripartire il loro rapporto.                                                                                                                  È un lavoro che merita di essere letto e discusso soprattutto da chi apprezza le narrazioni introspettive.

giovedì 28 giugno 2012

Consigli di lettura: Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)


Negli ultimi anni molti testimoni della Storia hanno sempre avuto un taccuino con sé per memorizzare e imprimere su carta ciò che hanno visto o immaginato. Soltanto che invece di descriverlo con le parole, hanno scelto di accostarvi le immagini, ovvero un linguaggio che non conosce confini. È da questa premessa che nasce il graphic journalism.
“Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)” di Sarah Glidden è uno dei migliori reportage a fumetti degli ultimi anni. L’opera è stato scritta e disegnata durante la prima visita dell’autrice in Israele: un viaggio offerto a lei come a tanti altri giovani ebrei dalla Taglit-Birthright Israel (un’agenzia finanziata dal governo israeliano e da associazioni private), e che servirà a Sarah per verificare la fondatezza delle proprie convinzioni sulla genesi dell’attuale situazione socio-politica in Terra Santa. Pronta a osteggiare ogni tentativo di “lavaggio del cervello” da parte dell’associazione, e critica verso la politica di occupazione israeliana ai territori palestinesi, l’autrice si troverà invece a mettere in discussione i propri preconcetti e a riconoscere la drammatica complessità di un conflitto sanguinoso e labirintico, che non può conoscere un’unica verità né un’unica soluzione.
Attraverso una narrazione agevole e pervasa da un raffinato umorismo, la Glidden si trova a fare i conti con la complessa situazione socio-politica di Israele, cui va ad aggiungersi una difficoltà a far chiarezza nei propri sentimenti. In questa ostinata ricerca (culturale e personale) è impossibile trovare una risposta monista di natura storica e/o politica, così come è impossibile per il lettore rimanere indifferente alla confusione cui va incontro l’autrice, sempre in lotta con se stessa per non lasciarsi confondere da testimonianze di parte e nello stesso momento costretta a fare i conti con il magnetismo di un Paese che,  nonostante tutto, Sarah finisce per sentire suo. Da questo punto di vista, il nodo contrale del libro è proprio l’ordinato flusso di coscienza che demolisce ogni classificazione di genere, arricchendo il diario di viaggio di rappresentazioni oniriche e ricordi personali, che sembrano a tratti voler portare a una rilettura della vita dell’autrice.
Il disegno richiama alla scuola belga, con tavole articolate dai colori tenui, da una struttura monotona e ripetuta per tutto il volume, quasi sempre a nove vignette di uguali dimensioni, ma che conserva una grande fluidità nella narrazione.

“Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)” è un’opera complessa, che affronta una questione molto delicata con rigore e onestà intellettuale, e che quindi merita il giusto spazio per poter essere letta e apprezzata. Una lettura sicuramente non per tutti, che ha bisogno della giusta conoscenza delle tematiche di attualità, oltre che delle obbligatorie premesse storiche e culturali relative agli eventi che hanno portato al contemporaneo assetto del Paese. Un ottimo esempio di come l’ingarbugliata trama di problematiche religiose, storiche e politiche lasci davvero pochissimo spazio a pregiudizi e preconcetti, qualsiasi sia la posizione individuale del lettore.