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martedì 24 luglio 2012

Consigli di lettura: Sonno elefante



Stasera prendo in analisi un bellissimo libro presente nel mio programma di “Semiotica della cultura”; l’opera in questione è “Sonno elefante”, di Giorgio Fratini, edito da Becco Giallo. L’autore ci porta nel Portogallo di inizio anni ’70, durante la dittatura del generale Salazar. Un argomento poco dibattuto non solo dal linguaggio fumetto, ma anche dagli altri media.
Centro narrante della storia sono lo studente di architettura Zè, sua madre Marisa, l’illustratore rivoluzionario Silas (alias Leon), la sua compagna Maria, ma soprattutto i muri della sede della PIDE, l’organo di polizia nato con lo scopo di sopprimere ogni tentativo di insurrezione al regime.
I muri non dimenticano: su questa affermazione Fratini costruisce una potente trama sospesa tra noir e realtà storica. Bisogna chiarire però che “Sonno Elefante”, pur trattando un certo periodo storico, ha un prologo e un epilogo ambientati ai giorni nostri: questo perché i luoghi invecchiano come le persone, e con essi malauguratamente la memoria di ciò che avviene al loro interno. Il parallelo proposto dall’autore tra la Lisbona di ieri e quella di oggi è interessante: in apertura vediamo un comune palazzo del centro in ristrutturazione, mentre un uomo anziano lo guarda da lontano con sguardo impenetrabile. Quest’uomo è Zè, che all’epoca dei fatti narrati è solo un ragazzo; l’edificio in Rua Antonio Maria Cardoso che oggi stanno ristrutturando, invece, era un posto in cui quarant’anni fa si spiava, si tradiva, si torturava, si moriva.
Fratini colpisce subito per la grande padronanza del mezzo fumetto, sia a livello narrativo che grafico. La scrittura immerge il lettore nella triste realtà di uno Stato in cui regna il terrore e riesce ad essere appassionante, dosando il ritmo della tavola con una severa scansione in vignette.
Grazie a ciò il succedersi delle vignette viene percepito come un martellante e ossessivo ticchettio; per esempio, nella scena della retata a casa di Marisa, in cui entrano in scena gli agenti della PIDE. Non c’è bisogno di mostrare percosse o atti di violenza fisica: la brutalità e la prepotenza dei modi del Capo Squadra Perquisizioni rappresenta tutta la ferocia di un sistema che può liberamente decidere cosa la gente deve fare, dire, pensare, e cosa no.
Sono presenti quindi delle atmosfere orwelliane, atmosfere noir, e notiamo anche una presenza del fantastico, presente nell’Intermezzo, dove è racchiusa la chiave per comprendere l’intera vicenda. L’Elefante, animale associato alla memoria, simboleggia gli occhi e le orecchie di ogni edificio esistente; ricoprire il sangue sulle pareti con dell’intonaco può servire a ingannare gli uomini, ma non i muri. Eppure anche i muri, abituati a vedere e sentire qualsiasi cosa accada nelle stanze che racchiudono, hanno un limite che, se superato, porta alla pazzia. La vignetta in cui l’Elefante Guardiano mutila le orecchie dell’Elefante Dormiente è quella che probabilmente racchiude l’essenza della storia: gli orrori scaturiti dalla mente umana possono essere insopportabili persino per i muri tra i quali vengono partoriti.
Il punto di vista dei muri, visti come degli elefanti condannati a ricordare, è un modo straordinariamente originale di rappresentare la malvagità umana (il volume non è stato inserito nel programma di semiotica per niente).
All’interno di “Sonno Elefante” c’è la storia di un uomo (Leon) reso folle dalla prigionia e isolato dai suoi ex-compagni per aver “cantato” sotto tortura; c’è la storia di una madre (Maria) disposta a tutto pur di riabbracciare il figlio di cui non ha più notizie dopo la cattura (Zè), e tante altre storie di vita quotidiana sotto un regime totalitario.
Soffermandoci sullo stile dei disegni, Fratini dimostra un ottima tecnica, sfoderando un segno che sintetizza sperimentazione e chiarezza, tramite il giusto equilibrio delle mezze tinte intervallate a sequenze in cui il contrasto tra bianchi e neri è netto, mentre il segno è nervoso e sporco. I volti spigolosi e scavati dei personaggi rendono bene l’idea di un popolo stanco e teso, apparentemente indifferente ma che in realtà nasconde le proprie emozioni dietro una maschera. La ricostruzione degli sfondi è accurata, ad esclusione dell’obliquità dei muri delle case: quest’ultima si potrebbe interpretare come un voler dar vita a quei muri.
Un’opera che racchiude in sé stessa tutte le qualità e la forza del mezzo fumetto, un linguaggio che contribuisce al perpetuare della memoria e della testimonianza attraverso il fecondo rapporto tra vignetta e lettore.

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