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giovedì 28 giugno 2012

Consigli di lettura: Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)


Negli ultimi anni molti testimoni della Storia hanno sempre avuto un taccuino con sé per memorizzare e imprimere su carta ciò che hanno visto o immaginato. Soltanto che invece di descriverlo con le parole, hanno scelto di accostarvi le immagini, ovvero un linguaggio che non conosce confini. È da questa premessa che nasce il graphic journalism.
“Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)” di Sarah Glidden è uno dei migliori reportage a fumetti degli ultimi anni. L’opera è stato scritta e disegnata durante la prima visita dell’autrice in Israele: un viaggio offerto a lei come a tanti altri giovani ebrei dalla Taglit-Birthright Israel (un’agenzia finanziata dal governo israeliano e da associazioni private), e che servirà a Sarah per verificare la fondatezza delle proprie convinzioni sulla genesi dell’attuale situazione socio-politica in Terra Santa. Pronta a osteggiare ogni tentativo di “lavaggio del cervello” da parte dell’associazione, e critica verso la politica di occupazione israeliana ai territori palestinesi, l’autrice si troverà invece a mettere in discussione i propri preconcetti e a riconoscere la drammatica complessità di un conflitto sanguinoso e labirintico, che non può conoscere un’unica verità né un’unica soluzione.
Attraverso una narrazione agevole e pervasa da un raffinato umorismo, la Glidden si trova a fare i conti con la complessa situazione socio-politica di Israele, cui va ad aggiungersi una difficoltà a far chiarezza nei propri sentimenti. In questa ostinata ricerca (culturale e personale) è impossibile trovare una risposta monista di natura storica e/o politica, così come è impossibile per il lettore rimanere indifferente alla confusione cui va incontro l’autrice, sempre in lotta con se stessa per non lasciarsi confondere da testimonianze di parte e nello stesso momento costretta a fare i conti con il magnetismo di un Paese che,  nonostante tutto, Sarah finisce per sentire suo. Da questo punto di vista, il nodo contrale del libro è proprio l’ordinato flusso di coscienza che demolisce ogni classificazione di genere, arricchendo il diario di viaggio di rappresentazioni oniriche e ricordi personali, che sembrano a tratti voler portare a una rilettura della vita dell’autrice.
Il disegno richiama alla scuola belga, con tavole articolate dai colori tenui, da una struttura monotona e ripetuta per tutto il volume, quasi sempre a nove vignette di uguali dimensioni, ma che conserva una grande fluidità nella narrazione.

“Capire Israele in 60 giorni (e anche meno)” è un’opera complessa, che affronta una questione molto delicata con rigore e onestà intellettuale, e che quindi merita il giusto spazio per poter essere letta e apprezzata. Una lettura sicuramente non per tutti, che ha bisogno della giusta conoscenza delle tematiche di attualità, oltre che delle obbligatorie premesse storiche e culturali relative agli eventi che hanno portato al contemporaneo assetto del Paese. Un ottimo esempio di come l’ingarbugliata trama di problematiche religiose, storiche e politiche lasci davvero pochissimo spazio a pregiudizi e preconcetti, qualsiasi sia la posizione individuale del lettore.

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