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mercoledì 29 agosto 2012

Appunti di vista: Zeman - Un marziano a Roma



Per chiunque ami il calcio, Zeman è sicuramente un personaggio emblematico per questo sport. Figura carismatica, a tratti cinematografica, il boemo è l'unico personaggio del mondo del calcio in grado di ispirare romanzi, film, documentari. Zeman è una filosofia di vita.

Giuseppe Sansonna, regista del documentario Zemalandia, ritorna nelle librerie con un racconto/diario/intervista dal ritiro di Brunico. Un ritratto dettagliato, in grado di dare giustizia alla complessa figura di quest’uomo silenzioso, di altri tempi, che tanto ha affascinato il regista di origine pugliese.

L’allenatore è diventato infatti - grazie al suo gioco moderno, alla rivincita dell’estetica contro l’obbligo dei risultati, allo stakanovismo negli allenamenti, ai giovani contro i campioni, all’intransigenza tattica - un recipiente che negli anni ha raccolto di tutto, un miscuglio di persone e sentimenti: il nichilismo di chi sa che non riuscirà a vincere contro i grandi poteri del calcio, la frenesia del tifoso esagerato che vuole tutti all’attacco pensando di sbancare, l’impegno dei radical chic appassionati alle sue battaglie anti-Palazzo e contro la Juventus.
È come se Zeman allenasse tutte le squadre del mondo contro il calcio cialtrone e corrotto, e non una squadra per volta. Per il pubblico dello sport-entertainment, cresciuto con le pay-tv, il ritorno di Zeman promette spettacolo.

Infatti, se la rivoluzione tattica di Luis Enrique è durata solo un anno, il nuovo allenatore della Roma Zdenek Zeman appare ancora di più nell’immaginario romanista come l’unico ad avere diritto alle stimmate del condottiero. Non importa che nel 1998 sia stato cacciato per far posto a Capello, più simpatico al Palazzo, come disse il presidente Franco Sensi: “Il nuovo mister ha la personalità vincente e riceve più rispetto da parte del Palazzo, noi crediamo molto nei benefici determinati dal suo avvento”. Né che Zeman abbia girato da allora l’Italia e l’Europa senza gloria, incassando insuccessi ed esoneri prima di arrivare a Pescara e vincere il campionato cadetto. I dubbi racchiusi nell’avventura zemaniana fanno parte dello stesso entusiasmo verso il boemo, e non intaccano l’attesa del campionato. Zeman è stato accolto come fosse la sua prima volta nella capitale: torna a essere un idolo oggi, proprio quando ci sarebbe bisogno di tornare a vincere, ma di soldi ne girano pochi. Il nuovo mito del boemo è rinato con l’esilio dal calcio che conta, da sconfitto sul campo e logorato dalle vicende processuali, diventato, suo malgrado, l’antidoto ad un calcio industriale legato al denaro.

Il personaggio, la cui unica garanzia è sempre stata la fedeltà a se stesso, ha deciso di rimettersi in gioco grazie alla scommessa vinta a Pescara: scegliendo per affetto una piazza esigente da cui era stato cacciato e cogliendo l’ultima possibilità di giocare in Italia ad alti livelli. E comunque andrà, non può che rimanere l’ammirazione e la stima di un allenatore capace di mettere da parte gli sponsor, il denaro e l’entertainment in nome dei valori di lealtà e amicizia che ha animato da sempre questo bellissimo sport.

L’ultimo libro di Sansonna affascinerà qualunque appassionato di calcio per la sua descrizione nitida e cruda di un uomo sempre coerente con sé stesso.
Buona fortuna, Zedenek

G. Sansonna, Zeman. Un marziano a Roma, Minimum Fax, Roma, 2012.

giovedì 23 agosto 2012

Appunti di vista: Nero di Puglia



La bellezza di parlare e discutere con i propri cari è quella di attingere a informazioni e idee a te ignare. In questi discorsi sono venuto a conoscenza di un libro di un autore pugliese, edito da Feltrinelli nel 1980: “Nero di Puglia “, di  Antonio Campobasso.

Un nome che ad una prima occhiata può non dir nulla, ma che invece porta su di sé una storia di emarginazione, solitudine e ingiustizia: la storia di un “figlio della guerra”.

Nato il 2 giugno 1946, lo stesso giorno della proclamazione della  Repubblica Italiana, Antonio è figlio di un soldato statunitense rientrato in patria alla fine del conflitto,  e di una ragazza madre, una donna che, lasciata sola, non ha avuto la forza di crescere suo figlio in un meridione che non accetta i nati “bastardi”, figuriamoci se di colore. Ciò la porta ad abbandonare il suo bambino per trasferirsi nel Regno Unito con un inglese.
Rimasto solo e accudito dalla nonna nel paese di Triggiano, il giovane Campobasso comprenderà ben presto cosa vuol dire crescere soli in un ambiente in cui il pregiudizio e l’ignoranza la fanno da padroni, trascinandolo in una spirale senza fine che lo condurrà dall’Orfanotrofio di Giovinazzo al riformatorio di Bari, fino al carcere di Poggioreale.

Difficile dare una definizione di quest'opera, certamente singolare rispetto al panorama letterario contemporaneo: non è un romanzo, e nemmeno una autobiografia. Quello che l’autore mette in mostra è una prosa - interrotta a tratti per cercare il ritmo dei versi -  densa di rabbia, tristezza e malinconia. È un grido di denuncia, di un’infanzia e di un’adolescenza rubate, della ricerca di affetto e amore (rappresentata dall’autore dai continui riferimenti alla madre) in cui Antonio non reprime la sua indignazione, lasciandola intatta nello scorrere dei versi, ricchi di imprecazioni e bestemmie. Ma è proprio in questo modo che l’autore mantiene la potenza suggestiva e lirica delle parole, e la poesia diviene un espediente per restituire la rabbiosa volontà di denuncia dell’autore:

“Gloria alla vecchia,
che più di cristo merita altari,
più di ogni dio insignificante
vuole che le si paghino
inni saltati e cantati
come in una foresta africana.
E' giusta, è grande,
ha patito ora per ora
in una storia che non è quella dei grandi.
I suoi stracci sono vestiti di luce,
il suo volto
mette fuori fulgori,
costringe i serafini del tempio
a coprirsi gli occhi,
copre di vergogna i santi di dio.
I tozzi di pane lemosinati
sono più sublimi di ogni assurda eucarestia.
Il negro, il bastardo,
lo ha fatto creatura
con il calore del suo corpo.
E' in mezzo ai cori degli ordini angelici,
se mai sono al di là dei cieli di pietra.”

Un’opera meravigliosa nella sua testimonianza, in cui Campobasso delinea le sue emozioni imprimendole su carta, quasi seguendo un immaginario spartito.
Dopo la conclusione delle sue disavventure, Antonio Campobasso si è ripreso la sua vita; ha studiato alla scuola di arti sceniche ed è stato assistente alla regia. Vive a Roma, e il suo ultimo lavoro è il film “Il mercante di stoffe”, di Antonio Baiocco.

Non so se Antonio leggerà questa breve elogio alla sua opera; tutto ciò che vorrei esprimere è solo la mia gratitudine per questa testimonianza verso la Puglia e la società italiana, e il rammarico da parte nostra per averlo condotto a pagare colpe di cui non ha mai avuto responsabilità.

martedì 21 agosto 2012

Sergio Toppi 1932-2012



Sergio Toppi resterà per sempre uno dei più importanti fumettisti e illustratori di sempre. Ci ha lasciato oggi 21 agosto 2012, un anno che ha privato l'arte sequenziale di alcuni tra i suoi maggiori protagonisti.
Il suo è stato un percorso creativo vasto, che lo ha visto imporsi nelle più importanti realtà italiane e internazionali; ed è per questo che voglio ricordarlo con queste bellissime parole scritte dal grande Oreste del Buono, in ricordo e memoria di un dei più grandi innovatori italiani della nona arte:

“Dalle sue tavole così incise e così bulinate, dalla ricchezza traboccante delle sue storie misteriose e tragiche ci viene costantemente il conforto che può esistere un uomo così responsabile, così pronto a rispettare il suo impegno. Come una religione. Il suo lavoro tende alla perfezione, per semplice senso del dovere. Il dovere di essere sempre più bravo, il dovere di continuare ad imparare, perché non si finisce mai di d'imparare a questo mondo, specie per chi si è assunto l'incarico di creare immagini, di mettere la propria fantasia e le proprie risorse al servizio degli altri."

Ciao Sergio....

sabato 18 agosto 2012

Consigli di lettura: Buddha



Spesso, nel campo fumettistico, ci si concentra molto sulle opere moderne e contemporanee, come l’attuale graphic novel, il fumetto storico, le opere underground e di graphic Journalism. Ciò è di fondamentale importanza per lo studio e l’analisi del linguaggio fumetto. Il rischio è però quello di dimenticare opere e autori che hanno fatto la storia della nona arte.
Prendiamo ad esempio Osamu Tezuka: conosciuto universalmente come “il Disney giapponese”(anche se la sua produzione e creatività era addirittura superiore a quello del caro Walt) e come “Il Dio dei manga”, l’autore nipponico ha scritto e disegnato oltre 700 storie per una stima di circa 170.000 tavole prodotte.
Egli affermava: “Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti.” Proprio per questo le sue opere sono conosciute e lette in tutto il mondo, e tra i suoi lavori più noti vorrei soffermarmi su un incredibile opera di stampo artistico e storico: “Buddha”, un’opera composta da 14 volumi (edita in Italia da Hazard edizioni).

A tutti è nota la vita di Siddhartha Gautama: quando era nato, i suoi genitori erano stati rassicurati da un indovino che il bambino era destinato a grandi cose, sarebbe diventato il grande conquistatore dell’umanità oppure il suo redentore. Preferendo di gran lunga il primo destino, il padre fece crescere il principino in una residenza reale e piena d’affetto, isolato da tutto ciò che era sgradevole e brutto. La sua era una vita di lusso e gioia, coronata dal matrimonio con una bellissima principessa e dalla nascita di un figlio. Ma un giorno, mentre passeggiava, il principe vide un vecchio infermo sulla strada. Fu stupito e addolorato da quella vista, il suo primo incontro con la sofferenza umana. Il giorno seguente vide un uomo morente, e il successivo un cadavere. Improvvisamente, il principe si rese conto della realtà della sofferenza, dell’invecchiamento, della malattia e della morte. Ora capiva che tutta la sua vita era costruita su una bugia, sulla negazione del dolore come parte dell’esistenza. Siddhartha cercò allora sollievo nella religione e si fece monaco. Nonostante ciò, divenne molto presto insoddisfatto del messaggio standardizzato dei suoi compagni asceti, che accettavano con compiacenza i mali della vita come parte dell’ordine naturale delle cose. Secondo Siddhartha, il dolore è vero e potente, ma non possiamo esserne compiacenti. E solo cancellando l’egoismo dai nostri cuori che possiamo trascendere i ceppi costringenti della nostra esistenza . Mentre sviluppava una filosofia con radici profonde per superare il dolore e l’egoismo, il principe attirò molti studenti intorno a sé. Siddhartha affermò: “Quando ero giovane vivevo la vita come se dormissi, ma ora mi sono svegliato”. Divenne quindi conosciuto come “il Risvegliato” o “l’Illuminato”, ovvero, il Buddha.
Nel raccontare il viaggio spirituale del Budda, Tezuka voleva presentare anche una visione panoramica dell’antica società Indiana. Infatti, attorno alle vicende del Budda sono intrecciate le vite di una moltitudine di personaggi per rappresentare i diversi percorsi che la vita offre : Tatta, un “intoccabile” che dichiara guerra all’ordine sociale; Chapra, uno schiavo che si schiera con l’elite dominante; Migaila, una bellissima ragazza che si innamora del Buddha; e il generale Budai, un ottuso soldato con sogni di conquista. Nel cercare la propria strada nel mondo, Buddha deve superare le tentazioni presentate da questi sentieri alternativi: la sete di vendetta, il successo sociale, la bellezza fisica e la vittoria sul campo di conquista.
Lo splendore visivo del lavoro di Tezuka è in primo piano. Con veloci, abili tratti, evoca le meraviglie dell’India, sia naturali che artificiali. I suoi studi scientifici fuoriescono in molte delineazioni sottili dei paesaggi e della natura.
Ma quelli che amano la religione solenne e dai toni alti saranno sconsolati dal Buddha di Tezuka. Perfino in questa serie, infatti, l’autore mantiene la sua posizione di fumetto come intrattenimento popolare: il suo lavoro brulica di un’esuberanza cartoonistica da capogiro, ci sono molte battute anacronistiche e i personaggi minori spesso sembrano dei cartoons.
Però, in questa sua esuberanza antica, Tezuka è fedele allo spirito del pensiero buddista. La sua è una ricerca storica e filosofica di notevole valore: ciò che l’autore rappresenta è davvero ripreso alla lettera dalla storia e dai miti che circondano il Buddha. Indubbiamente, la serie di Tezuka offre un ampio bagaglio di conoscenze e strumenti per chiunque affronti per la prima volta i temi legati alla conoscenza delle religioni e della cultura orientale nel suo insieme.  


Quelli che sono ostili al buddhismo molto spesso lo accusano di essere una religione di rinunce, che nega la vita; alcuni cristiani dalle ristrette vedute usano addirittura la parola “nichilista” per descrivere il pensiero del Buddha. Niente è più lontano dal vero. Mentre cercava di trascendere il dolore della vita, Budda rimaneva molto vivo sulla superficie dei piaceri del mondo. Le immagini del Buddha che ride sono la vera faccia di questo saggio.

Noi tutti viviamo in un mondo dove la religione sembra spesso nemica dell’illuminazione, perfino un nemico della semplice gentilezza e morale. Ma nella nostra situazione disperata, è giusto ricordare che la religione non deve necessariamente essere maligna. Come rappresentato dalla vita del Budda, la religione è un balsamo che può curare le ferite più profonde della nostra anima.
È questo il più importante messaggio che l’autore nipponico dona al lettore: la vita di un principe filosofo che scopre la verità dell’esistenza nella compassione e nell’unione con il creato.   

lunedì 13 agosto 2012

So long, Joe


"I was, and still am, the luckiest person in the world"
Joe Kubert, 1926-2012


Ieri sera si è spento Joe Kubert, eccezionale artista statunitense. Considerato il migliore disegnatore di fumetti di guerra di sempre, era capace di passare dalle atmosfere selvagge di Tarzan ai cieli di Hawkman senza alcun problema. Un maestro verso il quale tutti gli attuali disegnatori hanno un chiaro debito.

Nato nel  1926 a Yzeran in Polonia, alla sola età di due mesi la sua famiglia si trasferisce a New York, nel quartiere di Brooklyn. Fin dalla giovinezza suo padre lo sostiene e ne incoraggia il talento. A questo proposito circola una leggenda, sul fatto che Joe abbia ricevuto il suo primo incarico professionale quando aveva solamente 10 anni.
Ovviamente non esistono conferme a questa storia; l’unica cosa certa è che Kubert entra giovanissimo nel mondo dell’editoria a fumetti, lavorando prima nello studio di Harry "A" Chesler, poi alla MLJ, conosciuta adesso come Archie Comics, dove brucia le tappe passando rapidamente dal ruolo di fattorino a quello di apprendista disegnatore.  Infine nel 1942, a 16 anni, inizia a disegnare con la propria firma alcuni fumetti della Holyoke.
L’anno seguente, nel 1943, porta a termine la prima di una lunga serie di collaborazioni con la DC Comics, disegnando e inchiostrando una storia dei Sette Soldati della Vittoria apparsa su Leading Comics 8. È grazie ai supereroi che Kubert si fa notare nel corso degli anni ’40, disegnando molte avventure di Hawkman.
Negli anni ’50 e ’60 Kubert diventa la star del fumetto di guerra, grazie al suo lavoro con lo scrittore Robert Kanigher su serie come Sgt. Rock e Enemy Ace. Nel 1967 viene nominato direttore delle pubblicazioni della DC, lavoro che comunque non gli proibisce di continuare a lavorare come artista. Infatti nel 1972 l’autore inizia a sceneggiare e disegnare uno dei suoi più celebri lavori, Tarzan, fumetto ispirato ai romanzi di Edgar Rice Burroughs.
Nel 1976, concluso il suo incarico alla DC, Kubert compie quella che ha sempre definito la sua miglior opera dopo i suoi 5 figli, fondando insieme alla moglie a Dover, nel New Jersey,  la Joe Kubert School of Cartoon and Graphic Art, una innovativa scuola di disegno in cui si diplomeranno poi anche i suoi due figli Andy e Adam.
Dopo un periodo di pausa, Joe torna al lavoro come sceneggiatore e disegnatore nel 1991, producendo per la Malibu Comics Abraham Stone: Country Mouse City Rat. Nel 1994 invece disegna la saga River of Blood per The Punisher: War Journal della Marvel. Prendendo ispirazione da una serie di fax inviati dall’amico e agente letterario Ervin Rustemagić nel corso dell’assedio serbo di Sarajevo, Kubert nel 1996 scrive e disegna Fax From Sarajevo.
Nel corso del nuovo millennio illustra i graphic novel Yossel: April 19, 1943 (2003) e Jew Gangster (2005), e tornando a disegnare Sgt. Rock in due miniserie, scritte rispettivamente da Brian Azarello e da lui stesso.
Particolarmente cari al pubblico italiano sono i suoi disegni del Texone del 2001, scritto da Claudio Nizzi e composto da ben 230 tavole tutte illustrate da Kubert.
L’ultimo lavoro su cui era all’opera era il prequel Before Watchmen: Nite Owl, miniserie disegnata in coppia con il figlio Andy.

A testimoniare il suo apporto determinate al mondo della nona arte restano soprattutto i suoi disegni, immortali monumenti alla sua grandezza.

venerdì 10 agosto 2012

Notte di stelle e desideri



“San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla... “ Giovanni Pascoli, X agosto.

Da secoli ci si incontra la sera del 10 agosto, un po’ per gioco, un po’ per scaramanzia, lontano dalle luci delle città per scrutare quello che Pascoli interpretò come il pianto del cielo. Se la scienza attribuisce il miracolo allo sciame meteorico delle Perseidi che, passando attraverso l'orbita terrestre, dà vita a uno spettacolo incredibile, la cultura popolare crede che siano le lacrime versate da San Lorenzo durante il suo supplizio. È nel giorno in cui il Santo morì che le gocce di dolore scendono sulla terra e regalano fortuna a chi le vede. La tradizione ha creato intorno a questa notte un’atmosfera ricca di speranza: si crede infatti che si possano avverare i desideri di tutti coloro che si soffermino a scrutare il cielo.

Possano le stelle questa notte illuminare il cielo e i nostri sogni più intimi. 
Buon San Lorenzo!  

giovedì 2 agosto 2012

Consigli di lettura: La strage di Bologna



2 agosto 1980: la sala d’attesa della stazione ferroviaria di Bologna viene distrutta dall’esplosione di una bomba: 85 persone perdono la vita e altre 200 restano gravemente ferite. Cause e mandanti non sono identificati.

La funzione e la preservazione della memoria nella società è di fondamentale importanza: memoria delle gesta, delle atrocità, degli orrori, che devono rimanere impresse nella mente della collettività affinché si possano porre correzioni e nuove soluzioni. E mai come in questi casi il fumetto, come linguaggio, può essere utile a manifestare interrogativi e testimonianze. L’educazione alle immagini è importantissima: mettendo da parte le inutili polemiche tra “fumetto popolare” e “fumetto underground”, il giusto equilibrio tra parole e immagini, narrazione e sequenza grafica, da vita ad opere di indubbio spessore artistico e letterario. Non sto qui ad elencarle ad una ad una, anche se meritano la giusta menzione “Maus” di A. Spiegelman, “Gen di Hiroshima” di K. Nakazawa  e i reportage di Joe Sacco.

A questo proposito, mi pregio di sottolineare l’encomiabile lavoro della casa editrice BeccoGiallo, che da anni progetta, realizza e pubblica fumetti d’inchiesta e di impegno civile.
Con l’opera “La strage di Bologna” di Alex Boschetti e Anna Ciammitti, pubblicata in occasione del 30° anniversario della strage, questa funzione sociale esplode in tutta la sua magnificenza, ciò grazie anche alla meticolosità del lavoro di ricerca di Boschetti (laureato in Storia contemporanea) e dal tratto scuro e forte della Ciammitti.

Parlare, scrivere, ricordare. Questo è quello che conta; non importa farlo una, due, cento volte: bisogna rendere l’arte testimone della realtà; forse, attraverso essa, riusciremo davvero a distogliere il velo che copre l’esistenza. Concludo con questo bel pezzo di Carlo Lucarelli, tratto dalla prefazione del volume:

“Mettere in fila i fatti provocando emozioni. Credo che altro, noi narratori non possiamo fare (…) che questo avvenga con le parole dei romanzi, con le immagini del cinema e della televisione (…) o con i disegni di un fumetto, non ha importanza, basta che sia efficace. Quando poi, come in questo caso, sta in una collana che ha avuto l’idea di utilizzare uno strumento di narrativa popolare come il fumetto per raccontare misteri della nostra storia recente, non è soltanto efficace. È geniale.”