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domenica 10 marzo 2013

Consigli di lettura: Il fotografo



“È il 1986, c'è la guerra in Afghanistan. C'è sempre una guerra in Afghanistan. I tre quarti della popolazione afghana di oggi non hanno conosciuto altro tempo che quello di guerra. Ogni guerra prepara e spiega la guerra successiva, come nel resto del mondo, solo che in Afghanistan l'intervallo che chiamiamo pace è breve fino ad annullarsi. I sovietici nel 1979 invasero brutalmente il paese, confidando di dilazionare la propria agonia, e ne avrebbero ricevuto di lì a pochi anni il colpo di grazia. Contro l'Urss, gli americani sostennero soprattutto gli islamisti afghani che poi si sarebbero impadroniti del potere facendone una tirannide forsennata e una base del terrorismo jihadista. La resistenza patriottica e laica fu lasciata a se stessa e tradita. Spodestati dopo l'11 settembre 2001, i talebani conducono una guerriglia irriducibile in gran parte del paese. Il luogo comune parla del "rebus afghano”

( Dalla prefazione di Adriano Sofri nell'edizione italiana de Il fotografo)

Dopo Alain e i rom, propongo nel mio blog l’analisi di questo meraviglioso volume grafico, Il fotografo, edito in Italia da Coconino Press-Fandango, in collaborazione con Medici senza frontiere.

Nel 1986 l’Unione Sovietica  ha invaso l’Afghanistan e lo occupa da sette anni, contro la resistenza dei mujaheddin. Medici senza frontiere impiantano e gestiscono ospedali di fortuna nelle zone più impervie e pericolose del paese. La loro presenza poggia in particolare sulle spalle di una donna, Juliette Fournot, "Jamila" per gli afghani, stupiti da quella donna influente come un uomo e  che parla bene il dari, il farsi parlato in Afghanistan.

Juliette è cresciuta a Kabul, figlia di una coppia di francesi, e la sua associazione ha bisogno di far conoscere i disastri della guerra e le condizioni estreme in cui i suoi volontari devono operare. Decide quindi di proporre a un fotografo di unirsi a una sua missione per realizzare un reportage. Juliette ha visto su una bacheca della sede parigina di MSF qualche fotografia scattata in Eritrea e ne è rimasta colpita. L'autore è francese, si chiama Didier Lefèvre, è nato nel 1957, non ha ancora trent'anni. Si è laureato in farmacia prima di dedicarsi al fotogiornalismo; lui accetta senza esitazione. Comincia un'avventura che durerà tre mesi, e metterà a repentaglio le vite dei protagonisti.

Didier torna infine a Parigi portandosi dietro quattromila clichés di bianco e nero: il 27 dicembre 1986 ne escono sei su due pagine del quotidiano Libération.  Passano tredici anni da quel ritorno, e il suo amico Emmanuel Guibert, disegnatore e illustratore, propone di creare un libro dal racconto appassionato e rocambolesco. Ne verrà un’opera singolare per l'ambizione e la concezione: alle centinaia di fotografie si alternano strisce disegnate, a riempire gli intervalli del racconto di Didier, e le trascrizioni del suo testo, sceneggiate come in un film. L'impaginazione sarà opera di un terzo amico, Frédéric Lemercier. Dove hanno bisogno di trascrivere frasi pronunciate in farsi, gli autori si fanno aiutare da Marjane Satrapi (autrice di Persepolis).

È un'opera straordinaria e grandiosa, capace di assicurare la memoria di una guerra particolare e di un aspetto particolare dentro quella guerra. Sono rimasto impressionato e trascinato dalla lettura e dalla visione del libro: è difficile che un'esperienza avventurosa e drammatica venga raccontata, pur nella pienezza dei nostri media, fin nei suoi dettagli quotidiani e ordinari e superflui.  

Infatti, nel racconto del fotografo, fotografie, disegni e testo collaborano e si alternano delicatamente, assicurando ai momenti culminanti e drammatici ( il rischio, la morte, la commozione) un contesto in cui ciascun lettore possa riconoscersi: immaginarsi medico senza frontiere o fotoreporter di guerra, padre o bambino di un villaggio afghano, combattente e  persino l'asino scivolato dentro un baratro col suo carico soverchio o il cavallo morto d'inedia lungo un passo montano.

Un libro scioccante e dall’incredibile impatto visivo, che riesce a conciliare linguaggi tanto diversi come la fotografia e il fumetto. Queste è stata la mia personale reazione alla lettura del volume: ne ho letto avidamente le prime pagine; poi, andando sempre più avanti,  ho cominciato a subire tanti piccoli colpi nel mio animo; infine, giunto a metà della lettura, ho dovuto un attimo riporlo sul tavolo; ho osservato per bene la sua copertina e, d’un tratto, mi sono reso conto che… una lacrima solcava il mio viso.