“Il fumetto, come la letteratura e il cinema, non può
cambiare il mondo. Ma può far nascere delle emozioni capaci di cambiare la
nostra percezione del mondo”. Baru
Chi più e chi meno, tutti quanti volgiamo la nostra mente ai
ricordi dell’infanzia, agli amici, ai giochi e alle piccole avventure
quotidiane che solo i bambini possono vivere. Temi e déjà-vu che vengono
rivissuti ne “Gli anni dello Sputnik” di Hervé Barulea, in arte Baru, uno dei
maestri del fumetto francese.
Ambientato nella Francia della fine degli anni Cinquanta, il
contesto è l’eco storico-politico di quegli anni: la Guerra Fredda e quella
d’Algeria, le contese ideologiche tra progressisti e cattolici, la lotta di
classe. I protagonisti sono dei ragazzini divisi in bande che si contendo il
territorio tra partite di calcio e colpi di fionda. Tutti figli di operai e/o
minatori: italiani, polacchi, ucraini e algerini; tanto diversi quanto uguali. La
vita di questi ragazzi è il fulcro dell’opera, dove Baru ha messo dentro di
tutto: rivendicazioni politiche, differenze etniche, coraggio, passione, amore,
gioventù, speranza, bellezza, diversità.
L’opera è uno splendido romanzo di formazione il cui tema
centrale è quello del conflitto, rappresentato dallo scontro politico a livello
globale e nazionale, con le sue propaggini nella colonia d’Algeria, e da quella
di un gruppo di ragazzini che si dividono in due bande e si affrontano per
gioco, ma che imparano a capire il mondo che li attende, quello degli adulti,
scoprendone ingiustizie e miserie. L’autore francese confeziona una storia
suggestiva ed emozionante, trattando i temi a lui più congeniali: quelli
dell’adolescenza, dei contrasti sociali e del mondo operaio, rappresentati con il suo stile secco e nervoso, ricco di
energia narrativa e della rabbia di chi non dimentica le proprie origini.