Stasera prendo in analisi un bellissimo libro presente nel mio
programma di “Semiotica della cultura”; l’opera in questione è “Sonno elefante”,
di Giorgio Fratini, edito da Becco Giallo. L’autore ci porta nel Portogallo di
inizio anni ’70, durante la dittatura del generale Salazar. Un argomento poco
dibattuto non solo dal linguaggio fumetto, ma anche dagli altri media.
Centro narrante della storia sono lo studente di
architettura Zè, sua madre Marisa, l’illustratore rivoluzionario Silas (alias
Leon), la sua compagna Maria, ma soprattutto i muri della sede della PIDE,
l’organo di polizia nato con lo scopo di sopprimere ogni tentativo di
insurrezione al regime.
I muri non dimenticano:
su questa affermazione Fratini costruisce una potente trama sospesa tra noir e realtà
storica. Bisogna chiarire però che “Sonno Elefante”, pur trattando un certo periodo
storico, ha un prologo e un epilogo ambientati ai giorni nostri: questo perché
i luoghi invecchiano come le persone, e con essi malauguratamente la memoria di
ciò che avviene al loro interno. Il parallelo proposto dall’autore tra la
Lisbona di ieri e quella di oggi è interessante: in apertura vediamo un comune
palazzo del centro in ristrutturazione, mentre un uomo anziano lo guarda da
lontano con sguardo impenetrabile. Quest’uomo è Zè, che all’epoca dei fatti
narrati è solo un ragazzo; l’edificio in Rua Antonio Maria Cardoso che oggi
stanno ristrutturando, invece, era un posto in cui quarant’anni fa si spiava,
si tradiva, si torturava, si moriva.
Fratini colpisce subito per la grande padronanza del mezzo
fumetto, sia a livello narrativo che grafico. La scrittura immerge il lettore
nella triste realtà di uno Stato in cui regna il terrore e riesce ad essere appassionante,
dosando il ritmo della tavola con una severa scansione in vignette.
Grazie a ciò il succedersi delle vignette viene percepito
come un martellante e ossessivo ticchettio; per esempio, nella scena della
retata a casa di Marisa, in cui entrano in scena gli agenti
della PIDE. Non c’è bisogno di mostrare percosse o atti di violenza fisica: la brutalità
e la prepotenza dei modi del Capo Squadra Perquisizioni rappresenta tutta la
ferocia di un sistema che può liberamente decidere cosa la gente deve fare,
dire, pensare, e cosa no.
Sono presenti quindi delle atmosfere orwelliane, atmosfere
noir, e notiamo anche una presenza del fantastico, presente nell’Intermezzo,
dove è racchiusa la chiave per comprendere l’intera vicenda. L’Elefante,
animale associato alla memoria, simboleggia gli occhi e le orecchie di ogni
edificio esistente; ricoprire il sangue sulle pareti con dell’intonaco può
servire a ingannare gli uomini, ma non i muri. Eppure anche i muri, abituati a
vedere e sentire qualsiasi cosa accada nelle stanze che racchiudono, hanno un
limite che, se superato, porta alla pazzia. La vignetta in cui l’Elefante
Guardiano mutila le orecchie dell’Elefante Dormiente è quella che probabilmente
racchiude l’essenza della storia: gli orrori scaturiti dalla mente umana
possono essere insopportabili persino per i muri tra i quali vengono partoriti.
Il punto di vista dei muri, visti come degli elefanti
condannati a ricordare, è un modo straordinariamente originale di rappresentare
la malvagità umana (il volume non è stato inserito nel programma di semiotica
per niente).
All’interno di “Sonno Elefante” c’è la storia di un uomo
(Leon) reso folle dalla prigionia e isolato dai suoi ex-compagni per aver
“cantato” sotto tortura; c’è la storia di una madre (Maria) disposta a tutto
pur di riabbracciare il figlio di cui non ha più notizie dopo la cattura (Zè),
e tante altre storie di vita quotidiana sotto un regime totalitario.
Soffermandoci sullo stile dei disegni, Fratini dimostra un
ottima tecnica, sfoderando un segno che sintetizza sperimentazione e chiarezza,
tramite il giusto equilibrio delle mezze tinte intervallate a sequenze in cui
il contrasto tra bianchi e neri è netto, mentre il segno è nervoso e sporco. I
volti spigolosi e scavati dei personaggi rendono bene l’idea di un popolo
stanco e teso, apparentemente indifferente ma che in realtà nasconde le proprie
emozioni dietro una maschera. La ricostruzione degli sfondi è accurata, ad
esclusione dell’obliquità dei muri delle case: quest’ultima si potrebbe
interpretare come un voler dar vita a quei muri.
Un’opera che racchiude in sé stessa tutte le qualità e la
forza del mezzo fumetto, un linguaggio che contribuisce al perpetuare della
memoria e della testimonianza attraverso il fecondo rapporto tra vignetta e
lettore.